Amatissimo da Proust e dai surrealisti, Gérard de Nerval si colloca come uno dei principali autori francesi nello sviluppo della tematica della rêverie, tanto da acquistare un’importanza capitale, capace di trasportare i lettori oltre la condizione immediata dell’esistenza.
“Le rêve est une seconde vie”, dice in Aurélia, dando inizio a quel distacco dalla vita fenomenica che nella poesia dell’Ottocento sarà portata avanti fra gli altri da Lautréamont.
Uno dei modi per sviluppare questa tematica diviene la passeggiata, non più funzionale ad una confessione, come avveniva un secolo prima nella scrittura Rousseauiana, ma momento per allontanarsi dai dissapori della contingenza ed approdare in un mondo in cui il reale e il sogno si confondono. Così per giungere a questo risultato il lavoro si fa lungo ed incessante, nel tentativo di correggersi dagli eccessi di realismo.
Nerval non esita a scendere nelle strade e porsi come osservatore della vita quotidiana, del suo modo di pulsare, descrivendola nella sua prosa immaginifica, ricca di richiami alla luce ed alle nebbie: come se la realtà dovesse necessariamente essere filtrata dal sogno. Di questo si mostra un esempio il suo errare fra i boschi del Valois in Sylvie, in un testo che alterna senza stacchi evidenti il sogno e la realtà.
L’io del racconto si perde nella sua promenade, conducendo lo stesso lettore nella nebbia tipica di quelle zone, che diviene uno stato mentale lucidamente confuso. E diviene lecito domandarsi se ciò che si è letto si sia verificato o meno, in una difficile corrispondenza tra tempo e luogo che tendono a incrociarsi, e a diventare un tutt’uno con il sogno e con la vita reale. Così tutto si mescola in un eterno presente che confonde le sensazioni fenomeniche.
Nerval conduce ancora una volta il lettore nella sua rêverie, mostrando la sua debolezza e la sua incapacità di appropriarsi della realtà. La sua vita e la sua arte si costellano di illusioni, di momenti di per sé significativi e anelati, come se solo nella ricerca ci potesse essere il piacere, solo in quello stato tra la realtà e il sogno il reale momento da vivere. Ovunque egli si trovi, il tentativo è quello di immaginare il momento successivo, quello che deve essere della felicità, capace, tuttavia, di penetrare dentro il suo animo, non per una riflessione, ma nel tentativo di cercare di fermare il tempo:
“Que le vent enlève ces pages écrits dans des instants de fièvre ou de mélancolie, – peu import: il en a déjà dispersé quelques-unes, et je n’ai pas le courage de les récrire.”
Il rapporto privilegiato di Nerval è con il passato e con le parole, e pertanto la passeggiata diviene un esercizio che si effettua non solo nello spazio, ma anche (e soprattutto) nella memoria, luogo in cui viene colto da un’ansia feroce di recuperare tutto, di imprimerlo nel presente perché non cada mai nell’oblio. E una volta scritto esso rimane dentro la sua anima, e da quel momento in poi gli oggetti fisici fungono da appunto che serve a far rivivere l’esperienza fenomenica:
“J’ai retrouvé avec joie ces humbles restes de mes années alternatives de fortune et de misère, où se rattachaient tous les souvenirs de ma vie.”
E talvolta, la sua immagine e la sua fantasia si paragonano agli antichi templi e le figure delle donne amate si confondono, “Mais où donc cette image s’este-elle déjà offerte à moi?”. L’oggetto fisico e quello spirituale restano all’interno di una eterna ricerca, che non è sempre bene chiara; in una rêverie senza sosta, perché come lo stesso Nerval confessa: “c’est une image que je poursuis, rien de plus”.
Written by Andrea Corso