Magazine Poesie
Gerritt Kouwenaar, nato ad Amsterdam il 9 agosto 1923, è uno dei maggiori poeti e scrittori olandesi, vincitore di numerosi premi letterari nel corso di una lunga carriera iniziata pubblicando in clandestinità durante l'occupazione nazista. E' inoltre traduttore, soprattutto di opere teatrali di autori come Brecht, Weiss, Sartre, Tennessee Williams, Osborne, Pinter. I testi qui pubblicati sono nella traduzione di Karin van Ingen Schenau e Maurizio Cucchi. I testi originali sono stati omessi per difficoltà tipografiche, ma sono a disposizione di chiunque li richieda.
Tre meno un quarto: l'ideale
Tre meno un quarto: occorre essere
ancora più sottile, persino ciò
che accarezza il naso in qualche luogo puzza
in parole
bussare per pane è chiaro, masticare
la morte è chiaro, la nebbia
che rinvia e ritira il respiro
è chiara
l'acqua lenta che ruggisce
attraverso la crepa nella strada d'asfalto
è mortale nonsenso è mondo lontano
stranamente chiara
il viaggiatore è sulla strada, la lontananza
non è in nessun luogo è dappertutto pensabile, egli fa
qualche passo, nessuna parola, non riesce
a passarci, egli
la calma -
Una parola
la morte in realtà non fu mai qui
o quasi qui e ora un momento
nessuna sillaba tocca in profondo, nessun angelo
s'inventa qualcosa di assassinio qui
si scrive dunque a vita
spinto nell'angolo di un cerchio
dunque nonsenso, annidarsi
in calligrafia, migliarino in caccia grossa
nessuna possibilità percettiva, nessuna prospettiva,
il giardino è sul tavolo, nessuna sillaba
lascia uno sgorbio
Il presente superfluo
Da quando tu ti travestivi la fame
da quando tu ti travestivi la fame da fame
da quando scioglievi il freddo dal freddo
nascondevi la tua fame in carne
da quando il tuo coltello per il pane tagliava la carne
accendevi il campo di grano da quando
annotavi il nome dell'autore da quando
cancellavi l'autore
da quando impagliato riponevi nella dispensa
cauto l'idea di una provvista
da quando sempre più magro più interno
in questi ultimi due versi
che si uccidono a vicenda sordi
spaccati -
Apri quella porta
Apri quella porta
apri pure quella porta chiusa
togli pure quella cordicella
da quel grosso pacco di pane
apri la terra apri la luce l'occhio
prova a vedere dove è il nero
sollevare la mano
spiegare il pugno
spezzare un dito
prova il tuo sangue chiama la bocca
prova a sciogliere la matassa a dire
come è il tuo gusto, il tuo giusto sapore
chiudi in altre parole quella porta
chiudi pure in fine una volta per tutte
quella porta aperta -
Nel giardino annebbiato
Pioveva a rovesci un istante, nel giardino
annebbiato si sciamava poi
alla corda corta della notte, ancora
una goccia infatti
sul naso eccitato, e nell'orecchio
un batter d'ali, puro fino al silenzio
una sosta che vuol essere bianca quando tutti
i coltelli celesti sopra la sua sdraia
diventano invece una cosa seria
no, non è serio, solo lentamente più tardi
la luna conta i bicchieri fino al tramonto,
fino a quando si ridiventa di carne: resta
quell'odore di gioventù quando l'erba
era bagnata, qualcosa da leccare, e poi si giace
un attimo del tutto assorto su se stesso
in questo cliché nebbioso, svelto
svelto, schiarito fino alla gola,
totalmente due -
Il capolavoro: luna rosa chiaro, piena
Per la prima volta da anni pende la luna
di nuovo come un frutto nel cielo
dove si è stati tutto quel tempo
cosa si è fatto altrove e meglio
questa notte snaturare l'arte
e giacere sulla terra basta
dunque come un cieco con una mano sorda
all'organo di senso affamato mollato
si divorano le cicale il vento notturno il mondo;
non si immagina, nessuna immagine
sano e fresco nella buccia sotto luna rosa chiaro, piena
mente vuota perfetta immangiabile pesca -
Paesaggio abbandonato
Anche il tuo paesaggio è invecchiato, persino
la fortuna di essere immangiabile
si è consumata
hai messo anche il piede in fallo su una farfalla
e ciò che è stato è stato, a casa un angelo
ti è caduto dal nome e la bocca
ti è uscito dal labbro, macchie d'inchiostro
e vecce sopra tutto
a casa dalla caccia, terra
molto vecchia al tuo corpo, stavi
nel tuo muro come una finestra
guardavi sui tuoi campi più lenti, letto
che ti faceva immortale una giornata
ti dava abitudine alla morte
poesia che recitava se stessa, brillante
nelle tue finestre finché
luce ci fosse stata
più nulla da scrivere, tutto di ferro, tutto
irrigidito dal tempo
la tua sola via sfugge la fine, nulla
rimanga qui
sul tuo paesaggio lo stesso paesaggio, mano
imballata nel proprio guanto, ovunque buchi
dov'era chiusa poesia
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