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Un monastero sperduto tra i boschi e le montagne (le location del film erano situate, incredibilmente in Tokyo, nei pressi del parco di Ueno), popolato da suore, sacerdoti e giovani. Tutti questi giovani hanno verosimilmente bisogno di accoglienza e sono accettati dalla comunità di padre Kamiya (bravissimo Ishibashi Renji nell’interpretazione) senza discriminazioni di alcun tipo, nonostante i loro atti vandalici e fuorilegge. I luoghi della storia non sono ben specificati, così come le azioni e le vite dei personaggi.
Non si approfondisce bene il motivo per il quale Rō si trova in questo posto (e nemmeno perché ci si è trovato in passato), anche se si intuisce che per lui si tratta di un ritorno ad un ambiente già noto. Ritorno ad un’esistenza infantile, innocente, come a voler ricominciare da zero dopo un nefasto gesto. Questa infanzia è però costellata da turpi ricordi. La vendetta, allora, viaggia di pari passo con il bisogno di una nuova vita e con il sopracitato rimorso. Rivalsa cieca nei confronti di padre Kamiya, reo in passato di abusi sessuali ai danni di Rou, ma non solo: necessità fisiologica di scoprire la felicità mai vissuta, andando ad incrociare il destino di una giovane ragazza, anch’ella parte della comunità, ma per nulla convinta nell’intraprendere la strada cattolica attraverso i voti.L’accusa nei confronti della chiesa è lampante e pesantissima, ancor più in un paese come il Giappone, dove il cattolicesimo non è certamente il più importante riferimento religioso presente. Una serie di gelide inquadrature mostra padre Kamiya intento alla lettura dei salmi o del breviario e, al contempo, alle prese con immorali azioni sessuali nei confronti del giovane. Il rimorso di Rō per il cruento gesto compiuto (solo qualche inquadratura ad inizio film per renderci partecipi dell’accaduto) si affianca però a quello del sacerdote consapevole di aver così profondamente intaccato la vita di Rō e, plausibilmente, di altri ragazzi.
In questa comunità di esistenze affrante e terrificate, tutti sembrano cercare accoglienza e calore in uno smodato ed illecito uso sessuale, piuttosto che nella salvezza dell’anima, tramite la preghiera. Tutti riescono a relazionarsi con gli altri tramite l’abuso, anche se Rō riesce ad andare oltre: confessando a padre Kamiya un peccato che non ha ancora commesso, si sentirà poi in dovere di commetterlo, visto che (a suo dire) il Signore gli ha già concesso il perdono. Questo raggiramento freddo e calcolatore del giovane protagonista (in fondo ci si prende gioco della Chiesa tutta) contribuirà, non poco, ad una triste fine per l’anziano sacerdote.
Anche un altro giovane, Toru, presenta evidenti segnali di devianza sessuale quando si avvicina così morbosamente a due grossi maiali che si stanno accoppiando.
E’ come se Omori avesse deciso di trapiantare i suoi personaggi in un contesto fuori dal mondo e dal tempo, quasi primordiale e li avesse affiancati alle bestie, mettendo tutti allo stesso livello. Il tutto, orchestrato, o per lo meno osservato e approvato, dalla religione. Il crudo e lugubre ritratto che scaturisce da questo affascinante collage di inquadrature talvolta suggestive, talvolta riluttanti, con azioni di depravazione, violenza inconsapevoli, è chiara immagine di un’umanità contemporanea così come il regista l’ha voluta dipingere.All’epilogo si giunge senza possibilità di fuga, senza spiragli di luce. Quando Rō, dopo un quasi istintivo atto sessuale con il giovane Toru, pronuncia sorridendo la frase: “Torniamo a spalare letame”. Gioia e redenzione attraverso teorici atti ignominiosi e amorali ma anche, e soprattutto, attraverso gesti luridi e materiali. [Fabio "Ichi" Rainelli]
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