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In coppia con l'armonicista Charlie Musselwhite, il Nostro tira fuori dal cilindro un lavoro blues fin nell'anima, con radici che affondano nella cultura del Delta del Mississippi e nell'anima black che da sempre lo contraddistingue, regalando quello che, a mio parere, è il suo miglior album da una decina d'anni a questa parte.
E' raro che da queste parti si trovi il tempo di parlare di musica, a meno che non si tratti di una qualche Blog War in corso con il mio antagonista Cannibale, ma quando ci vuole, ci vuole.
Da un paio di settimane, infatti, uno dei più ammirati cantautori del panorama fordiano è tornato nei negozi con una proposta decisamente più autoriale di quanto non si potesse pensare considerato il suo ormai consolidato successo di pubblico, realizzata in coppia con il mitico armonicista Charlie Musselwhite, che tra gli altri ha collaborato, nel corso della sua carriera, anche con un altro preferito del sottoscritto, Tom Waits.
Il risultato è un disco fenomenale, il Django Unchained musicale di questo 2013, quaranta minuti di blues da profondo Sud all'interno dei quali l'armonica di Musselwhite duetta con la chitarra del buon Ben sfoderando intrecci tanto semplici quanto incredibilmente caldi, sudati, roventi: roba da dita unte di pollo che non si finiscono mai di leccare.
E in questa cavalcata slow troviamo di tutto, dall'amore alle origini, dal morbido lasciarsi andare neanche si fosse sdraiati sul ponte di una barca che scivola lungo il fiume con il cappello calato sugli occhi alla lotta serrata di chi spezza le catene - per l'appunto - del Potere: la title track, che recita come un mantra "I have a right to get up" ed afferma "non chiedetemi di non infrangere la Legge, perchè è la Legge ad avermi infranto" - o rotto, che ci starebbe anche meglio - pare figlia del suo periodo più militante e di Fight for your mind, mentre brani come You found another lover (I lost another friend) ricordano le ballate più struggenti del cantautore californiano; ma c'è spazio anche per il blues più tradizionale con I don't believe a word you say e per la molto smooth I ride at dawn, dal sapore di Frontiera e Southern Comfort.
E' difficile rendere in parole la musica, specie quando quest'ultima viene dritta dal cuore, così proverò ad immaginare un flusso di coscienza, giusto per rendere l'idea: sole sulla pelle, catene che tagliano la carne, catene che si spezzano, sangue che pompa, pancia piena, sudore, sesso, mani che si intrecciano, occhi scuri e profondi, un filo d'erba tenuto tra le labbra, acqua gelata di fiume, ombra rilassante, camminata lenta, crocevia.
E Charles Mingus, Tom Waits, i Led Zeppelin.
E Ben Harper ed io uno di fronte all'altro con lui che porge la mano e dice "Hi, I'm Ben".
E tutto quel cibo ipersalutista nel suo camerino, e le chiacchiere sui tatuaggi, il roadie che viene dalla Louisiana e somiglia incredibilmente a Tom Petty, l'abbraccio prima di salutarci.
Posti come il Saloon nascono per stare lungo la Frontiera. Proprio come il sottoscritto.
E dischi come Get up! ne sono un'espressione così perfetta da far venire i brividi.
Get up, stand up!, cantava un altro grandissimo.
Don't give up to fight.
Non lo fa Ben Harper. Non lo fa Charlie Musselwhite. E di certo, non lo faccio neppure io.
MrFord
"I have a right to get up when I feel
I have a right to get up when I feel
Don’t tell me I can’t break the law
Cause the law has broken me."
Ben Harper - "Get up!" -
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