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Creato il 16 aprile 2012 da Abattoir

lunedì 16 aprile 2012 di

Diverso tempo fa avevamo pubblicato un articolo dal titolo “Perché un’idea buona non può aspettare” ispirata per metà dal celebre discorso di Steve Jobs e per metà da affermazioni polemiche fatte dal cofondatore di Paypal, Peter Thiel, convinto che molte potenzialità vengano bruciate dietro noiose materie universitarie.

Da allora, alcune cose sono cambiate in Italia, tanto da dover riprendere il punto da dove l’avevamo lasciato e capire se l’imprenditorialità è una strada che fa per noi o possiamo definitivamente chiudere questo capitolo alla fine di questo articolo.

Uno dei cambiamenti più importanti è dato dal cambiamento dai cambiamenti politici che ci sono stati. I politici di professione infatti si sono messi un po’ da parte, a senso loro per prendere la rincorsa, lasciando spazio ai “tecnici”. Il cambiamento di paradigma è evidente, si intende legittimare l’operato di questo nuovo governo in base alle loro competenze e conoscenze. Sono tutte persone di un certo calibro, che hanno frequentato le università migliori e che hanno occupato posti dirigenziali nelle più grandi aziende del loro settore.
Riporre le speranze in un “professore” potrebbe essere l’inizio di un cambiamento culturale, se non fosse che gli italiani dimenticano troppo facilmente.

Il cambiamento più importante sembra venire dal decreto conosciuto col nome di Cresci Italia che ha come pilastri fondamentali la crescita e l’equità. Del secondo pilastro abbiamo sentito parlare con liberalizzazioni e abolizione di tariffe minime, mentre per quanto riguarda la crescita nessuno ha avuto interesse a parlarne perché non si toccavano in fondo gli interessi di nessuno.

Nel decreto Cresci Italia, un punto interessante ma molto contraddittorio è stato quello delle SSRL, Società Semplificata a Rischio Limitato, che in teoria dovrebbe favorire la nascita di aziende guidate da giovani.

Sulle SSRL si è parlato poco, nonostante se ne sia chiacchierato tanto e solo alcuni portali sensibili all’innovazione hanno approfondito di più la discussione. Si tratta delle famose imprese giovanili ad 1€.

Ma che significa fare impresa con una sola monetina dell’uomo vitruviano? Significa che se prima per costituire una SRL era richiesto un capitale sociale minimo di 10.000€, ora ne basta solo un euro. Tutto ciò ha ovviamente un valore simbolico, perché in fondo il problema vero per aprire una società non sono solo i soldi del capitale sociale, ma sono le lungaggini e i costi della burocrazia che sono infiniti, infatti la più grande rivoluzione è quella di aver abolito la costituzione della società da un notaio: basta la scrittura privata e registrata al registro delle imprese che era comunque necessaria.

In fondo, ci sono tanti tipi di società che giuridicamente si possono costituire, che forse quello a rischio limitato non è sempre la più conveniente e in cui il capitale sociale non costituisce un vincolo (vedi le società di persone).
Il capitale sociale, in una società di capitali, è una garanzia per i fornitori e clienti, ma soprattutto per i finanziatori. Se tre rampolli figlidipapà prendono 10.000€ l’uno e fanno una SRL da 30.000€, saranno ricevuti dalle banche allo stesso modo del singolo che si presenta come autonomo o con una SRL da 10.000? Figuriamoci se il capitale sociale è inferiore!
Ma noi siamo ottimisti e pensiamo che questo sia l’inizio di una riforma culturale prima di tutto e che le banche avranno fiducia in noi più che al nostro portafogli.

Ma c’è ancora qualcosa che però non aiuta questa “crescita” a decollare realmente: il limite di età dei costituenti della SSRL non deve superare i 35 anni.
Una volta superata tale età, come la carrozza di Cenerentola a mezzanotte, la magia finisce e si deve sciogliere la società o cambiarla in SRL. Gran bella fregatura…

Cosa altrettanto assurda è pensare che solo i giovani hanno le idee e le capacità per creare valore in questa società, forse ci si dimentica che ci sono persone che hanno perso il lavoro a 40 anni e che hanno difficoltà a trovarne un altro e che magari desidererebbero altrettanti aiuti per sfruttare la loro esperienza per creare una nuova azienda.
A proposito del secondo pilastro di “Cresci Italia”, l’equità, non sarebbe più giusto favorire le buone idee al di là dell’età? In fondo un capo quarantenne è una cosa bella per un neolaureato di 27, la differenza di età non è troppa ma si ha davanti qualcuno con più anni di esperienza.
Sarà che ormai si è diffusa l’idea che per creare valore si debba fare per forza qualcosa di nuovo, mai visto sulla faccia della terra, che sia legata alla tecnologia informatica e perciò che il futuro sia dei nativi digitali, però può essere che innovativo può essere anche un modo di produrre qualcosa di esistente? Può essere che non solo la tecnologia informatica è innovativa, ma anche la tecnologia idraulica lo può essere?

Inoltre, il termine “startup” viene usato impropriamente, perché viene impiegato come sinonimo di impresa di giovane e informatica, mentre una startup ha la peculiarità di essere solo l’inizio. L’inizio di un’impresa che si svilupperà in qualcosa di più grande ma ancora non definito oppure di essere acquisita da colossi informatici. L’idea di una startup è quella di creare un prodotto, un servizio, che si integri magari con altro e nulla più. Per questo viene facile farlo nel campo dell’informatica, prendiamo il caso di Instantgram: il loro prodotto è una app che applica un filtro ad una foto scattata da cellulare e la manda in rete condividendola contemporaneamente su Facebook e Twitter, nient’altro.
L’app suscita interesse e Facebook si compra l’intera azienda.

Tra Cresci Italia e startup, c’è spazio per tutti coloro che hanno buona volontà e una buona idea. Come già scritto nell’articolo precedente, i soldi si possono trovare e da allora anche molti articoli in italiano che aiutano a chiarirsi le idee.

Voi avete buone idee? Credete di saper fare qualcosa piuttosto bene e magari con quel quid per cui i potenziali clienti dovrebbero scegliere voi anziché la concorrenza? Se pensate di sì allora è necessario che impariate qualcosa su come si pianifica una business idea e per poi scriverla su un business plan. Ma non basta essere bravi in qualcosa per diventare business man, bisogna soprattutto avere tanta pazienza, coraggio e e sopportazione di stress. Se siete bravi, ma non riuscite a prendervi troppe responsabilità, compilate il vostro bel curriculum vitae e spendete le vostre competenze a servizio di qualcun altro, se siete davvero bravi non avrete difficoltà a posizionarvi bene.

Il primo passo per pianificare una business idea è quella di chiedersi se questa può funzionare o no: quale bisogno vado a soddisfare? quanto è diffuso questo bisogno? quali altri prodotti soddisfano il medesimo bisogno? chi dovrà usufruirne?
Nel momento in cui le risposte a queste domande vadano trascritte su un business plan da presentare per finanziamenti, potrebbe anche essere il caso di cominciare a pagare già i dati delle indagini di mercato, perché non sempre si trovano in rete gratuitamente e aggiornati.

Adesso sarà facile capire chi sono i concorrenti e a quali vogliamo fare seriamente la guerra. Mettiamo caso che voglia produrre una bibita gasata analcolica, abbiamo come concorrenti Coca-Cola e Casera Cola, dobbiamo cercare di capire se siamo in grado di rubare clienti a Coca Cola (quindi spendere in pubblicità almeno quanto loro).

Chiarita l’idea del nostro business, dobbiamo pensare a quali leggi la regolano e ai costi, non solo delle macchine, ma anche dell’adeguamento alle norme, come per esempio la spese per certificazioni o di formazione o sanitarie.

Ultima cosa prima di pensare a redigere un business plan è quella di chiedersi quanti soldi servono ed entro quanto tempo si pensa di recuperarli. Senza questi due ultimi punti nessuno mai vi prenderà sul serio e vi farà un prestito.

Possiamo vincere lo spettro della disoccupazione con la cultura d’impresa, questo è vero, ma non è così facile. Per cambiare culturalmente una società non bastano poche riforme, ma un programma a media-lunga durata che assista e semplifichi la vita agli imprenditori e che insegni loro a fare bene i calcoli perché la maggior parte della volte i loro errori li pagano i lavoratori subordinati.

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