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Ghost Dog – Il codice del samurai

Creato il 06 giugno 2013 da Ildormiglione @ildormiglione

ghost-dog-way-of-the-samuraiI Samurai altro non erano che militari durante il medioevo Giapponese, e, al pari dei vassalli occidentali, erano fedeli al proprio signore. Ma il Giappone è tutt’ora famoso per la raffinatezza con cui si tenda a miscelare arte e filosofia, filosofia e e vita, e quindi anche la militarizzazione, solitamente barbara e rude, diveniva una forma di arte, non solo a livello estetico, per via di armi e armature piuttosto creative, ma soprattutto per via dei precetti che costituivano un codice d’onore (Bushidō) sacro a cui ogni samurai dedicava la propria vita con devozione assoluta. Queste summe, erano di fondamentale importanza perchè fungevano da comandamenti veri e propri, e sono state trascritte diverse volte, ma la più importante opera letteraria a tal riguardo era l’ Hagakure di Tsunemoto, che rielabora l’antica saggezza dei Samurai attraverso brevi aforismi. Jim Jarmush non fa altro che affidare questo sapere assoluto, e quest’opera, a Forrest Whitaker, facendolo diventare un samurai metropolitano. Il suo signore, o padrone se si preferisce, è un mafioso di origini italiane a cui lui deve la vita, e per conto del quale diverrà un sicario eccezionale ed ectoplasmatico, che nessuno ha mai visto in faccia o sentito parlare. Ma quando si ha a che fare con i boss italiani non si può stare mai tranquilli, e così finirà tutto in un vortice di vendette e omicidi su commissione, scanditi di tanto in tanto da alcuni passi del Hagakure che sembrano fare da didascalia perfetta a ciò che si sta per vedere. Ma questo non è un film di sparatorie o azione americana a buon mercato, perchè il nostro samurai, che si fa chiamare Ghost Dog, è un uomo d’onore trapiantato nei sobborghi tipicamente americani che si distinguono per la criminalità latente, delle gang e della mafia, e la povertà. Ed è proprio nel Bronx, una delle zone più tristemente famose dell’America, che negli anni ’70, durante i cosiddetti bloc party, nasceva l’hip hop. Ma questa non è solo un informazione gratuita che abbiamo voluto inserire. L’hip hop infatti è una componente fondamentale del film, non solo per la collocazione geografica della storia, ma anche per il connubio che si forma tra questa cultura musicale, nata come risposta spontanea per emancipare e risollevare chi è sempre stato emarginato dalla società, ed il protagonista di questa pellicola, salvato appunto durante un pestaggio razziale e che ha come unico amico un gelataio che parla solo francese e non capisce una parola di inglese. E per sottolineare questo legame forte, Jim Jarmush decide di affidare le musiche a RZA, che inonda il film di musica hip hop che va dai Wu-Tang Clan ai Public Enemy, da Kool G Rap a Masta Killa, e di impregnare la pellicola di riferimenti al romanzo breve “Rashomon” (lo stesso da cui è tratto l’omonimo film di Akira Kurosawa) che racconta la storia di un ex servo in cerca di riparo che si imbatterà negli egoismi e nell’ipocrisia umana. Appare quindi evidente che “Ghost Dog – Il codice del samurai” sia un film impregnato di aspetti culturali importanti e riferimenti letterari imprescindibili, eppure Jarmush, nella sua infinita maestria, non realizza una pellicola intellettualoide e pretenziosa, bensì realizza un misto tra gangster movie e chambara (il genere di film giapponesi riguardanti i samurai), mescolando dramma e ironia. Memorabile, a tal proposito, la sequenza in cui i tre boss mafiosi italiani, quasi mitizzati e sovrumani nonostante non paghino l’affitto da mesi, chiedono di far uccidere Ghost Dog. L”esplosione ironica e l’ilarità che suscita questa sequenza, specie quando uno dei tre, Sonny (Cliff Gorman), improvvisa un brano hip hop, valgono per intero il prezzo del biglietto e nulla avrebbero da invidiare agli idolatrati dialoghi tarantiniani. Questo esempio è fondamentale per comprendere che Jarmush riesce a creare una pellicola che viaggia tra i generi, si prende gioco degli italiani, dei neri, degli americani, e probabilmente degli spettatori, raccontandoci una storia che potrebbe persino far riflettere, ma che perlomeno affascinerà e colpirà per l’originalità della messa in scena. Per concludere non si può evitare di dire che Ghost Dog comunica con il suo padrone solo attraverso piccioni viaggiatori. E questo la dice lunga sull’incredibile magnetismo di “Ghost Dog – Il codice dei samurai“.

Voto 7,5/10



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