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In una società sempre più tecnologicamente all’avanguardia si può ancora parlare di differenza tra uomo e macchina e di superiorità dell’anima su un cervello computerizzato, oppure eventuali ragionamenti in merito sono forzati e viziati da pregiudizi ormai superati? Su queste complesse domande filosofiche, etiche ed esistenziali sono imperniati i due lungometraggi che hanno composto questa interessante ma difficile Ghost in the Shell Night, ovvero Ghost in the Shell 2.0 e Ghost in the Shell: Innocence. Il primo anime, riedizione del Ghost in the Shell originale del 1995, si concentra sulla figura della glaciale cyborg Motoko Kusanagi e sulla sua lotta per comprendere cosa si nasconda nella sua anima e se, effettivamente, ne esista una. Messa di fronte al Burattinaio, una coscienza artificiale in grado di evolversi ed infettarne altre, il Maggiore Kusanagi mette in dubbio la propria stessa natura: essendo un cyborg completo, a differenza dei suoi compagni, e vivendo in un mondo dove anche i ricordi più semplici possono essere manipolati o creati ex novo, la donna è arrivata al punto da non riuscire a comprendere se il suo Ghost (l'anima) sia vero o sia stato creato artificialmente come il suo corpo. Se è vero, come dice il Burattinaio, che l’unica differenza tra gli esseri artificiali e gli umani sta nel fatto che questi ultimi possono morire e trasmettere i loro geni creando qualcosa di completamente nuovo, nel caso un computer riesca a compiere queste due azioni cosa rimarrebbe a differenziarli? L’unica cosa che separa completamente i due mondi e consente ad un essere di fregiarsi del titolo di “umano” è invece probabilmente il riuscire a raggiungere una libertà che lo avvicinerebbe all’onnipotenza di un Dio, poiché tutti i membri della Sezione 9, anche quelli con meno “parti di ricambio”, sono strettamente legati ad un contratto che impedirebbe loro di abbandonare l’organizzazione senza rinunciare a buona parte dei ricordi e delle esperienze acquisite.
E se Ghost in the Shell 2.0 non offre risposte ma da solo il La ad eventuali interpretazioni personali (questa era la mia), Innocence va ancora oltre, facendo evolvere una storia di ginoidi assassini in una profonda riflessione sul bisogno dell’uomo di creare esseri artificiali sempre più simili a lui, imponendo loro la capacità di soffrire e provare emozioni ma continuando a trattarli come giocattoli o esseri inferiori da temere e sfruttare. In questo caso, la differenza tra umani e robot è talmente sottile da venire annullata, diventa quasi un cavillo, una convenzione, soprattutto in una realtà in cui non esiste persona che non abbia una parte del corpo artificiale: ironicamente inquietante è la figura della scienziata che sottolinea come i bambini, per i genitori, siano quanto di più vicino al coronamento del sogno di ricreare una vita artificiale e lo stesso vale per le bambine quando giocano con le bambole (l’immagine della figlia di Togusa con una bambola in braccio, sul finale, risulta disturbante tanto per lo spettatore quanto per Batou). Le citazioni filosofiche e religiose presenti in Innocence si sprecano e lo rendono molto affascinante ma estremamente difficile da seguire, triste e malinconico nella misura in cui lo spettatore riesce ad affezionarsi al taciturno Batou e a provare pietà per la sua consapevolezza di essere meno che umano e, allo stesso tempo, molto di più. Probabilmente (sempre interpretazione personale) il burbero poliziotto prova anche vergogna per non essere riuscito ad accompagnare il Maggiore Kusanagi nel suo ultimo viaggio, incapace di abbandonare la realtà conosciuta per immergersi in una Rete pregna di possibilità ma anche di pericolose incognite.
Visivamente parlando, sia Ghost in the Shell 2.0 che Innocence sono due capolavori che andrebbero visti assolutamente al cinema per godere appieno delle splendide immagini che passano sullo schermo. A onor del vero, Ghost in the Shell patisce un po’ il restyling moderno, che mal concilia animazioni tipicamente anni ’90 e “passatelle” (ma comunque tuttora sconvolgenti e dinamiche) a rigide sequenze in CGI ricreate alla bisogna con una Motoko Kusanagi che sembra ancora più burattino di quanto non sia. Innocence invece è più fluido per quel che riguarda questa fusione e grazia lo spettatore con due delle sequenze animate più belle che abbia mai visto (e che mi hanno letteralmente ammutolita): una è la processione con i carri semoventi che anima le strade della malfamata città in cui Batou e Togusa vanno in cerca dell’informatore, preceduta dalla veduta di una splendida cattedrale che unisce elementi architettonici gotici e statue orientali, l’altra scena invece è quella dello sconcertante loop in cui vengono a ritrovarsi i due agenti, ambientato in un edificio che contiene ingranaggi, carillon e ologrammi di vite passate mescolati senza soluzione di continuità. Tutta questa meraviglia di tecnica e animazione viene arricchita dalla grandiosa colonna sonora di Kenji Kawai e dai due temi portanti di entrambi i film, che mescolano sonorità tradizionali giapponesi ad inquietanti cori in grado di perseguitare lo spettatore per giorni (true story). Le sonorità elettroniche di Yoko Kanno presenti negli episodi seriali sarebbero state assolutamente fuori luogo (NDMassimo). Per quanto riguarda quindi l’aspetto puramente estetico Innocence è il lungometraggio che ho apprezzato maggiormente nonostante la stanchezza derivata dalle quasi quattro ore passate chiusa in sala; tuttavia è troppo prolisso e filosofico per poter essere degnamente assimilato nel corso di un’unica visione e la lentezza, nonostante qualche guizzo horror incarnato dalle orde di simil-bambole assassine, si fa sentire parecchio. Come trama, quindi, ho preferito indubbiamente Ghost in the Shell, più dinamico nonostante i temi trattati non siano meno importanti o profondi di quelli di Innocence. D’altronde, c’è anche da dire che a favore di Ghost in the Shell giocava una forte componente nostalgica visto che il lungometraggio è stato il primo anime “serio” che avessi mai avuto occasione di vedere in videocassetta (che custodisco ancora gelosamente!) ai tempi del liceo ma, a parte questo, direi che le due opere si equivalgono e che, nel complesso, costituiscono un dittico imprescindibile per tutti i fan del cyberpunk e dell’animazione giapponese. Solo, ecco, badate di non vederli entrambi nella stessa sera o rischierete di farvi esplodere il cervello!
Mamoru Oshii è il regista sia di Ghost in the Shell 2.0 che di Ghost in the Shell: Innocence (del quale è anche co-sceneggiatore). Giapponese, ha diretto anche film come Lamù - Only You, Lamù - Beautiful Dreamer, Patlabor: The Movie, Patlabor 2: The Movie, Ghost in the Shell ed episodi delle serie Yattaman, Gatchaman la battaglia dei pianeti e Lamù, la ragazza dello spazio. Anche produttore e animatore, ha 62 anni e tre film in uscita.
Ghost in the Shell 2.0 è essenzialmente la riedizione del Ghost in the Shell girato nel 1995 e le differenze sono davvero poche. Tutte le sequenze in CGI sono state rifatte per renderle più simili a quelle di Innocence e solo la scena di apertura e quella dell'immersione vedono il personaggio del Maggiore completamente in 3D, mentre la trama è rimasta sostanzialmente invariata se non rammento male. In quanto ad Innocence, è stato persino nominato per la Palme d'Or al Festival di Cannes del 2004, quindi chapeau. Il manga di Masamune Shirow, oltre a queste due pellicole, ha generato due seguiti cartacei (Ghost in the Shell 1.5: Human-Error Processor del 2003 e Ghost in the Shell 2: ManMachine Interface del 2001, entrambi pubblicati in Italia) e due serie televisive (Ghost in the Shell: Stand Alone Complex e Ghost in the Shell: Stand Alone Complex - 2nd GIG, seguiti dallo special Ghost in the Shell: Solid State Society) a cui si è aggiunta da poco Ghost in the Shell: Arise, serie di 4 OAV che debutterà con i primi due episodi in Italia il 3 aprile al cinema sempre grazie a Nexo e Dynit. A proposito delle serie, dice Massimo che in esse sono presenti i Tachikoma, gruppo operativo di robot da combattimento, dotati di un’avanzata Intelligenza Artificiale condivisa che mancano nei due lungometraggi. Durante le missioni ogni esperienza del singolo viene condivisa con gli altri per aumentare le proprie capacità di reazione sul campo. Nelle serie pubblicata in DVD, oltre ad affiancare il Maggiore Kusanagi negli interventi della Sezione 9, erano protagonisti di una miniserie di piccoli episodi intitolati “Un giorno da Tachikoma”. Se gli episodi di GITS lasciavano ad un ruolo marginale l’introspettiva vicenda personale di Motoko, la miniserie dedicata ai robot offriva spunti di riflessione importanti nonostante gli sketch esilaranti in cui i THINK (carri armati pensanti) affrontavano certe tematiche filosofiche, in maniera piuttosto infantile. Non di rado, il centro di controllo che li ospita risulta simile più ad un asilo che ad una sezione speciale governativa. Senza contare l’affetto di Batou nei loro confronti, che li tratta quasi come dei figli. Grazie delle informazioni, zio! Insomma, se la Ghost in the Shell Night vi ha catturati, cose da recuperare ne avete ma potete anche aggiungere la trilogia Rebuild of Evangelion, Blade Runner, A.I.: Intelligenza artificiale e la serie Cowboy Bebop. ENJOY!
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