Ghost world
di Terry Zwigoff
con: Tora Birch, Scarlett Johansson, Steve Buscemi, Brad Renfro, Ileanna Douglas, Bob Balaban
Usa, 2001
genere, commedia
durata, 110'
"A change would do you good".
- S.Crow -
L'adolescenza e' per il cosiddetto mondo adulto un
po' quello che democrazia e diritti umani sono per il mercato: vitali e
indispensabili - sebbene problematici - punti di riferimento
(materiali, filosofici, simbolici), fino a quando non si piazzano di
traverso. Allora le cose si complicano, le soluzioni si allontanano e i
conflitti aumentano.
"Ghost world", capitolo terzo nella personale commedia umana di
Terry Zwigoff, autore di scarsa prolificità come non aduso a cantare
nel coro, di traverso ci si mette subito e prepotentemente, gettando uno
sguardo sull'età acerba tanto poco incline all'edulcorazione,
quanto ancor meno consolatorio. Lungi sia dalle secche della trimurti
goliardico-sentimental-sportiva e dal binomio degli arricchimenti prodigiosi e dei miraggi caramellati, connaturati, quasi - quelle e questo - alla teen comedy americana,
sia dalla desolata patologia dell'emarginazione violenta e
dell'abiezione (sviluppatasi a ridosso degli anni '90 come contraltare
realistico-sociologico non di rado contrassegnato da caratteri
allucinatori mirati a demolire qualunque ipotesi sul genere tempo delle mele
e in un pugno di film incarnata - e, alla fine, addirittura pagata - ad
esempio, da uno come Brad Renfro, qui in una sconsolata parte di
contorno), l'opera va a collocarsi in una particolare terra-di-mezzo -
invero poco frequentata, pensiamo, tra gl'impavidi, al M.Lehmann di
"Heathers", del 1988 o al T.Solondz di "Welcome to the dollhouse" del
1995 e di "Palindromes", del 2004 - all'interno della quale sagacia e
precoce disillusione, disgusto per l'ovvio e inclinazione naturale alla
caricatura (da usare anche come strumento di difesa) hanno la meglio
sulle tipiche ubbie connesse alla popolarità, all'ossessione di
apparire, alla stessa urgenza di acquisire i rudimenti della formazione
culturale (da un sistema scolastico, poi, la cui certificazione
ufficiale del raggiungimento di un certo status sulla scala del
sapere - a dire, nel caso, il diploma o le annesse ingiunzioni ad
accollarsi rognosi corsi estivi - e' utile solo ad essere ridotta in
pezzi un attimo dopo essere stata conseguita).
Così come sarcasmo e
insofferenza, solitudini improvvise e malinconie senza approdo, sanno
farsi beffe comunque di consuetudini e atteggiamenti normali colti
in doloroso anticipo nella loro essenza di triti e umilianti luoghi
comuni nel migliore dei casi indirizzati verso l'incognita oscura del
quieto vivere. Alla stessa maniera ma in controcanto, rudezza di
linguaggio, una sessualità allo stesso tempo blandita e maneggiata con
diffidenza, una qual apatia - ciascuno di tali modi di essere, a suo
modo, leva già calibrata sull'osservazione critica dell'esistenza -
scimmiottano e si sostituiscono, diversamente declinandoli, allo slancio
e all'irruenza della giovinezza, con esiti a volte tragici
nell'allusione, per dire, ad un definitivo ripiegamento nell'astio: in
ogni caso sconcertanti per lucidità e precisione di analisi, oltreché
per una capacita' d'irrisione a cui non sono estranee scaltrezza e
cinismo.
Del
resto, coerenza vuole che un giudizio riferito ai propri pari età
oscillante tra antipodi apparenti come "semideficienti" e "ritardati",
pronunciato da due esemplari dell'altra meta' del cielo sodali da
sempre, in un contesto suburbano difficile dire se semplicemente
iperrealista o depresso senza remissione (il mondo fantasma e' da
intendersi in primis come corrispettivo fisico di un paesaggio che
sembra aver barattato in via non revocabile la trasformazione ragionata
dei suoi agglomerati con il declino a cromie brillanti della
post-modernità) preveda un certo numero di difficoltà psicologiche e
pratiche, di disagi, di frustrazioni, una volta che, per un motivo o per
l'altro, la decisione e' quella di tenervi fede ribadendolo. Proprio la
collisione, infatti, con un altro possibile aspetto del citato mondo fantasma, ossia quello dei rapporti falsi e superficiali (in specie quelli dei grandi ma
non solo: il tenore generale e' tarato sul metro per cui tutti usano
tutti), di quelli episodici o interessati, di quelli apertamente brutali
o sottilmente prevaricatori, a compilare una mappa fallimentare delle
relazioni umane - straziante, grottesca, come che sia di fatto percorsa
da linee che tendono a circoscrivere il sospetto di una ineliminabile
inettitudine di fondo - irrigidisce e sconcerta vieppiù le prese di
posizione di Enid/Birch e Rebecca/Johansson, liceali s'è detto argute,
fuori posto in un mondo perlopiu' - e di gusto - ottuso, latrici
peraltro di un proprio modo di porsi in esplicito attrito con lo
stereotipo muliebre dominante mai disposto a spingersi troppo oltre il
tipo cheerleader, da un lato e quello modella in erba, dall'altro, a cui, quasi d'incontro, si potrebbe dire, si risponde a colpi di caschetto nero, occhiali a montatura variabile, mise ricercatamente
arzigogolate e anfibi per Enid (una Birch paffuta, dalla carnagione
simil lattea e gli occhi vispissimi); chioma castana, pullover sottile
girocollo su shorts dal taglio maschile e mocassini di foggia robusta
per Rebecca (la futura stella Johansson, qui guardinga, quasi goffa ma
sempre come sul punto d'imporre finalmente un'esuberanza da troppo
inibita causa circostanze avvilenti), a testimonianza, rafforzando anche
da fuori l'anomalia intrigante di una narrazione inusuale, di un
erotismo genuino, svagato, un tanto bislacco, nondimeno feroce, di
sicuro non cool (neanche a dirlo ben presto scalzato, almeno lungo le traiettorie della carriera della Johansson, da un più opportuno divismo
studiato a tavolino, accomodante tanto verso le blande esigenze del
palato medio, quanto verso quelle più ferree e subdole del glamour da
copertina e della pubblicità), che Zwigoff dosa in una mistura ancora
in grado di giocare sia sull'allusione finto ingenua, sia su una
provocazione esplicita e diveritita perché a riparo da controprove
imminenti indesiderate o imbarazzanti.
Assieme
all'ironia pungente e a sprazzi di comodo fatalismo, questa sorta di
flusso vitale represso, un po' contorto e incontrollato - intriso certo
di candore, di malizia opportunista, eppure alimentato da una spinta in
direzione opposta a ciò che si presume (o ci si e' piegati a
considerare) inamovibile: una curiosità autentica, quindi
(Enid-lingua-lunga si fa cacciare da un lavoro ma tenta, benché le venga
poi scippata, la via di una borsa di studio; Rebecca comincia a
guadagnare per metter su casa) - percorre in sotterranea le vicende
delle due ragazze (le quali, in genere, di romantico o mirifico hanno
ben poco, dipanandosi nelle pieghe di un tran tran cristallizzato dal
gelo dei suoi poli attrattivi di consumo - diner, centri
commerciali, simulazioni di "tipiche tavole calde anni '50" - e tra le
ansie contraddittorie e le irresolutezze di tipi umani sempre ad un
passo dal crollo nervoso o dall'accasciarsi in una stranita
rassegnazione - estremi non lontani dal mood interiore di certi
personaggi di George Saunders -), arrivando, alla lunga, a preservarne
l'identità dall'appiccicume del quotidiano nella forma di una
marginalità matura perché accettata infine come contributo personale
alla riduzione della conflittualità. Lo stesso rapporto dispari di Enid
con Seymour (un affranto e querulo Buscemi ad emblema di un giovane vecchio patetico
e insoddisfatto, collezionista di rari 78 giri - uno dei quali, tra
l'altro, "Devil got my woman", 1931, di Skip James, diventa un delizioso
tormento per Enid - a cui pero' non sfugge il bandolo della propria
condizione: "Non sei in grado di avere nessun tipo di rapporto e allora
ti riempi la vita di questo", le dice, durante una noiosa serata tra
cultori di vecchi dischi, alludendo alla comune mania catalogatrice)
vive e prolifera solo in virtù dello squilibrio che la petulanza,
l'obliqua malia e il corrosivo brio negativo della teenager inocula
nelle fibre spossate di un arreso uomo-massa, restituendogli persino la
forza di osare ciò che fino a quel momento egli aveva relegato
nell'inconcepibile: frequentare una coetanea.
E' così che Zwigoff - in collaborazione con Daniel Clowes, co-sceneggiatore e autore del comic book dal
quale il film prende le mosse - riesce, con avvertita naturalezza e
senza concedere alla sue protagoniste facili scappatoie ma modulando
accorte variazioni sul registro delle emozioni di base (stupore,
delusione, rabbia, aspettazione, et.), la' dove molti altri tentativi si
arenano nelle agnizioni gratuite o nelle catastrofi sbrigative: rendere
motivatamente seducente una visione pessimista (e dall'epilogo incerto)
della realtà, delle prospettive personali, del proprio posto in un
mondo butterato che nemmeno somiglia più ai colori (pieni) e agli umori
(aspri) di un romanzo disegnato intelligente e triste.
TFK