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Sat, 22 Mar 2014 20:42:04 GMT
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(Biella, 25 giugno 1901 – Roma, 20 gennaio 1967)
La critica di Giacomo Debenedetti occupa un posto particolare nel panorama culturale italiano, il cui metodo può essere definito un non-metodo dato il suo approccio interdisciplinare. Tale critica, pur trovando il suo posto sotto il genere di critica psicologica, esige l’aggiunta di un’altra parola: integrale.
Giacomo Debenedetti nasce a Biella il 25 giugno 1901; i primi tredici anni li trascorre con i genitori Tobia ed Elisa Norzi e il fratello Corrado. Nel 1913 si trasferisce, insieme alla sua famiglia, a Torino, dove frequenta il liceo classico; nel 1917 perde il padre e l’anno successivo anche la madre; i due fratelli vanno a stare dallo zio Alessandro Debenedetti, nella cui casa avverrà il primo incontro di Giacomo con Umberto Saba. Si iscrive al Politecnico, frequenta il teatro Regio e più tardi, su consiglio di suo zio, si iscrive anche alla facoltà di legge, dove si laurea a pieni voti nel 1921 con una tesi sulla filosofia di G. D. Romagnosi. Conosce, tra gli altri Piero Gobetti, Natalino Sapegno, Mario Fubini, Sergio Solmi.
Tramite Saba conosce un personaggio di rilievo della cultura triestina, Roberto Bazlen, che sarà suo amico, tramite Giacomo, anche Montale. Nel 1923 Debenedetti inizia la collaborazione con alcune riviste come <<Il convegno>> il quale pubblica Amedeo, <<il Baretti>> dove compaiono saggi sulla letteratura francese, in particolare su Proust e Radiguet, <<Il Quindicinale>>. Nel 1926 inizia a lavorare per <<La Gazzetta del Popolo>> per la quale adotta lo pseudonimo di <<Swann>>. Sulla Rivista <<Solaria>> pubblica scritti su Saba, De Sancits, Svevo; nel 1927 si laurea anche in Lettere con tesi su Gabriele D’Annunzio; nel 1929 pubblica la raccolta di Saggi critici per le edizioni di <<Solaria>>; nel 1930 sposa Anna Maria Renata Orengo, figlia di una coltissima aristocratica russa che, senza dubbio, ha giocato un ruolo importante per la formazione culturale dello studente Debenedetti (fu lei, infatti, a suggerire al giovane Debenedetti la lettura, nel 1921, di Tre croci di Federigo Tozzi). Nel 1936, insieme ad alcuni amici, fonda <<Il Meridiano di Roma>>, dove tiene una rubrica sulla letteratura contemporanea. Comincia il periodo della persecuzione razziale e Debenedetti, nel 1944, si unisce ai partigiani e lascia il paese perché ricercato.
Umberto Saba
A questo momento storico corrisponde la traduzione da Proust di Un amore di Swann, nel 1945 pubblica i Saggi critici. Nuova serie. Nel 1955-56 ha l’incarico di Lingua e Letteratura francese nella stessa Facoltà, a Messina, dove svolge un corso sugli Essais di Montaigne e ne prepara uno su Proust. Nel febbraio 1951 tiene, sempre all’Università di Messina, una conferenza su Marcel Proust a patti con il diavolo. A lui, infatti, si deve la prima lucida analisi dell’ opera proustiana in Italia attraverso molti saggi.
Nel 1957 commemora Saba al Circolo della cultura e delle arti di Trieste con Ultime cose su Saba, l’anno successivo ottiene la cattedra di storia della letteratura italiana moderna e contemporanea presso l’Università di Roma; qui terrà, sino alla sua morte, corsi sulla poesia italiana del Novecento, su Tommaseo, e sul romanzo del Novecento.
Nel 1962 commemora a Siena Federigo Tozzi a ottant’anni dalla sua nascita; nello stesso anno è anche a New York in occasione del congresso dell’Accademia italiana di medicina forense, dove pronuncia il discorso Il personaggio uomo nell’arte moderna, tema che riprenderà, nel 1965, alla Mostra del cinema di Venezia. Nel 1966 provoca un accesa discussione in tutta Italia, in seguito alla sue dimissioni da tutte le giurie dei vari premi letterari di cui fa parte. Muore a Roma nel 1967, a causa di un attacco cardiaco, ma è traslato al cimitero ebraico di Torino.
Marcel Proust
Debenedetti ha rivolto la sua attenzione non solo alla storia e alla società, realtà invocate da tutti i critici accademici, ma anche alla psicologia, alla sociologia, all’arte, alla scienza, alla musica, al cinema dando vita ad una sorta di <<fenomenologia congetturale>>, se vogliamo adottare un’espressione di Enzo Golino , che illumina di nuovi significati l’opera letteraria. Debenedetti è <<un rabdomante della letteratura e del gusto>> come lo ha acutamente definito Alberto Bevilacqua ; intuitivo, percettivo, interdisciplinare, rigoroso, si lascia dapprima ispirare dal suono, per poi scavare nell’anima popolare della cultura, e quindi nella vita stessa, senza pregiudizi. Debenedetti non ha adottato un metodo semplicemente perché li ha adottati tutti, gettando la basi dell’antropologia letteraria, puntando alla sua straordinaria intelligenza e soprattutto sulla sua libertà intellettuale. Lo stesso Debenedetti riguardo al “compito” del critico afferma che il critico deve capire, far capire, spiegare l’opera che legge, ma spiegare consiste nel rilevare che una cosa è come un’altra cosa, come tante altre cose meglio note, che le somigliano e insieme ne segnalano la speciale, insostituibile identità.
Secondo Debenedetti, quindi, il critico deve confrontarsi con l’opera d’arte, interrogandola perché la critica oggi ci interessa solo quando riesce a stabilire i nessi tra gli artisti e tra l’arte e tutto l’insieme della nostra visione umanistica e scientifica del mondo. A proposito di scienza, sono illuminanti le analogie che Debenedetti nota tra la scienza e la letteratura, tra la narrativa dell’antipersonaggio e la fisica delle particelle, la frantumazione dell’uomo, la perdita della sua identità: il suo abruttimento corrisponde con la frantumazione dell’atomo.
Federigo Tozzi
Non si può non tener conto della lezione di Benedetto Croce; il giovane Debenedetti infatti inaugura la sua stagione da critico come crociano. Certamente il critico piemontese percorre una strada inconsueta, prendendo in considerazione anche Francesco De Sanctis. Le ragioni di questo percorso possono essere ricercate nell’ambiente dove si era formato Debenedetti, la Torino gobettiana (dove aveva recepito una coscienza dell’impegno civile che aveva in De Sanctis un esempio ben consolidato nella storia italiana); nel desiderio di “rivedere” la sua passione per i contemporanei. Debenedetti vede in De Sanctis, teorico dell’uomo ideale italiano, una figura più moderna rispetto a Croce, che offre l’occasione al giovane e orgoglioso critico di teorizzare il proprio lavoro.
Il critico piemontese si indirizza verso il decadentismo europeo che a Croce era indifferente. Anche per quanto concerne lo ‘storicimo’ Debenedetti si differenzia da Croce. Per quest’ultimo lo ‘storicismo’ è fondamentale, tanto da denominare il suo pensiero “storicismo assoluto” cui si è affidata in gran parte la cultura italiana. La filosofia di Croce è una storia pensata, Per il filosofo e critico abruzzese l’opera d’arte o letteraria che sia è pura intuizione e non scaturisce da criteri di verità. Per Debenedetti lo ‘storicismo’ è invece una sorta di forma psicologico-esistenziale.
In Debenedetti quindi, come si è già accennato, è la psicologia che vince la partita insieme alla sociologia, avvalendosi spesso delle teorie di Mills sul disagio dell’uomo contemporaneo. Anche la musica è un elemento di grande rilevanza nel percorso critico di Debenedetti e in particolare la musica di Richard Wagner, alla quale il critico si affida per conferire alle parole maggior melodia, senza però escludere la musica italiana, o meglio il melodramma che è il corrispettivo del romanzo.
Benedetto Croce
C’è spazio anche per il cinema tra gli interessi di Debenedetti il quale, dopo essersi trasferito a Roma, lavora all’Enciclopedia del Cinema e alla rivista “Cinema”, viene chiamato dalla Cines come riduttore di film stranieri, nel momento del passaggio dal muto al sonoro, per la Lux Film si occupa di Piccole Donne. Debenedetti, come ha notato il critico cinematografico Guido Aristarco, riconosce che “una tradizione critica e intelligente intorno al cinematografo, un gusto vero e proprio sull’arte cinematografica si vengono costituendo”. In effetti i saggi sul cinema del critico piemontese hanno aperto la strada a nuovi criteri di estetica, per non parlar poi del ruolo fondamentale del cinema in riferimento al personaggio-uomo, o meglio, all’antipersonaggio, basti pensare ai film di Bergman e di Antonioni.
Francesco De Sanctis
Ciò che interessa a Giacomo Debenedetti, quindi, è saper leggere la letteratura alla luce delle vicende culturali, credendo fermamente che la letteratura moderna si affidi prima di tutto al genere romanzo, che in Italia ha sempre costituito un problema, data la nostra tradizione.
L’aspetto più importante che emerge dalla critica metaforica e rigorosa di Debenedetti, è quello di considerare il romanzo moderno una forma imprescindibile di conoscenza dei meccanismi e delle dinamiche esistenziali moderne. Cià ha conferito alla critica debenedettiana un importante successo: quante volte nel giudicare un’opera letteraria oggi non ci avvaliama di riferimenti alla musica, al cinema, alla sociologia e soprattutto alla psicologia?
Debenedetti avrebbe potuto intraprendere una brillante carriera accademia conquistando una cattedra universitaria ma ha scelto la precaria strada del free lancer culturale, data la sua straordinaria versatilità e l’ ostilità degli ambienti universitari. Una figura culturale unica e affascinante, lontana dai pregiudizi e dalla saccenza di cui spesso soffrono molti intellettuali.