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Giacomo Leopardi...parte seconda

Da Lory663

Giacomo Leopardi...parte seconda

Giacomo Leopardi

Ben presto il Leopardi raggiunse una certa notorietà come poeta, ma toccò a Pietro Giordani il vanto di essere stato fra i primi a intuire il suo genio. Fra Pietro e Giacomo ci fu un frequente scambio di corrispondenza, che consentì al giovane poeta di aprire, finalmente, l'animo a un uomo che lo capiva e ammirava.
Nel 1818 la visita di Giordani diede occasione a Giacomo di recarsi con lui a Macerata, ove ebbero un colloquio con alcuni Carbonari; e tale colloquio non fu certo estraneo alla ispirazione che indusse il ventenne Leopardi a comporre le due canzoni all'Italia e Sul monumento di Dante, l'una e l'altra avvampanti di amor patrio, in netto contrasto con le idee del conte Monaldo che, incapace di considerare come un fatto spontaneo le nuove idee politiche del figlio, incolpò il Giordani di aver inculcato in Giacomo le proprie convinzioni e di avergli fatto perdere la fede religiosa.
E' probabile che il Giordani non abbia avuto una parte così rilevante nel mutamento di Giacomo, il quale, intanto, era tormentato da un amore non corrisposto: si era innamorato della cugina Geltrude Cassi che per qualche giorno era stata ospite di Monaldo e di Adelaide. Quando la cugina ripartì, il poeta si sentì più infelice di prima. Quella doveva essere la prima delusione d'amore per lui, che in seguito s'innamorò di una popolana, una certa Brini, quindi di Teresa Fattorini, che gli ispirò i famosi versi della poesia A Silvia, composta qualche tempo dopo, negli anni 1827-1828, e in seguito della nobile Broglio, senza trovare mai rispondenza ai suoi sentimenti.
Ma tutta questa amarezza lo portò ad approfondire le proprie idee sulla poesia, a cercare nel verso l'oblio dei suoi dolori e il conforto morale, e quando, sul finire del 1822, egli riuscì ad allontanarsi da Recanati, il "natio borgo selvaggio", per trasferirsi in casa dello zio Carlo Antici a Roma, sperò di trovare la felicità. Invece il contatto con la vita frivola della nobiltà e lo stato di abbandono in cui vide i gloriosi monumenti della potenza romana, accrebbero ancora la sua disperata solitudine.
Ritornò a Recanati nell'aprile del 1823 e, dopo appena cinque mesi di soggiorno a Roma, riprese a lavorare alacremente, e, verso la metà di luglio del 1825, partì per Milano, dove lo aveva chiamato l'editore Stella. Ma la metropoli lombarda non gli piacque, e preferì andare a Bologna, dove visse con il misero assegno che ogni mese  l'editore gli anticipava, e con qualche lezione. Da Bologna si trasferì a Firenze, quindi a Pisa; ma improvvisamente una dolorosa oftalmia gli impedì di lavorare, e perciò nel 1828 ritornò a Recanati. Proprio in questo periodo creò i suoi "grandi idilli": Le Ricordanze, La quiete dopo la tempesta, Il sabato del villaggio, Canto notturno di un pastore errante nell'Asia e il Passero solitario. 
Soltanto nel maggio del 1830 potè lasciare definitivamente l'austera casa paterna, e andare a Firenze, ove curò l'edizione dei Canti che uscirono nell'aprile del 1831 e che fecero convergere su di lui l'attenzione dei più nobili ingegni d'Italia.
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