Gian marco montesano | il potere delle immagini

Creato il 04 aprile 2015 da Amedit Magazine @Amedit_Sicilia

di Giuseppe Benassi

Come comprendere Gian Marco Montesano, artista che par a prima vista contraddittorio e ambiguo? Passa senza soluzione di continuità da Edmondo De Amicis (le tristi e poetiche infanzie torinesi) al marchese De Sade, da Liala (immagini di donne innamorate, di esasperato dulcore, sulle rive del lago) a Hitler, da Leni Riefensthal a Nilla Pizzi, dai santini più sdati (il cuore di Gesù Cristo in mostra, le immagini oleografiche dei santi) a Stalin (il “piccolo padre”), da Hollywood ai santuari cattolici. È un rivoluzionario o un reazionario? È devoto o blasfemo? Mistico o provocatore? Inneggia o irride? Inquieta o consola?Certamente un artista pop, per l’uso che fa delle immagini correnti. Ma anche molto di più. I suoi dipinti appaiono come microcosmi, mondi autonomi, spazi dell’anima, sfere magiche riportate su un piano, bolle di spazio spirituali che vibrano di compartecipazione, luoghi simbolici chiusi in loro stessi e avvolti da un’aura.

Forse lo si può comprendere partendo dalla dottrina heideggeriana del luogo esistenziale; dalla fenomenologia del rotondo di Bachelard; dalle riflessioni di Eliade su enstasi e estasi; fino alla filosofia delle sfere di Sloterdijk. Ciò perché ogni suo quadro è un piccolo mondo di partecipazione simbiotica fra i soggetti del dipinto, che crea un’immediata adesione con lo spettatore, il quale, perdendo il proprio io, è risucchiato in quella sfera, come in un gorgo. I suoi bambini tristi, le donne trasognate, le star del cinema, o i più feroci tiranni, offrono subito agli spettatori un’inspiegabile esperienza di vicinanza. Inducono al senso del déja vu. Fan ritornare al rimosso, dell’inconscio personale o collettivo. I suoi dipinti risucchiano al loro interno, sono spazi sociali. Si elimina la distinzione fra dentro e fuori, perché quel che vediamo è qualcosa che era già dentro di noi, avessimo o meno visto prima quelle immagini. Immagini che hanno un potere ipnotico, vincolante.

Montesano è un asettico catalogatore di archetipi, di simboli e figure che, nella storia, hanno avuto il potere di legare le masse, unirle, comandarle, e non importa se gli esiti sian stati letali (Hitler, Stalin), o addormentanti (Gesù, i santi, l’oppio dei popoli) o semplicemente consolatori o compensatori. I suoi quadri sono cerchi magici in cui lo spettatore vien letteralmente tirato dentro, reso partecipe di un momento cruciale. La mistica delle Alpi si unisce a quella dell’Amore, della Guerra, dell’Infanzia, dei Tiranni, della Bellezza, dei Re e delle Regine (anche della canzone). Montesano è il pittore dell’estasi, dell’imbambolamento, mercé il potere terribile delle immagini, compreso per primo da Giordano Bruno. Statolatria, seduzione erotica, idolatria, e capitalismo consumista si basano su codesto potere. Montesano sa riprodurre le esperienze sia della mistica naturale che di quella sovrannaturale. Decritta gli arcani di tutti i poteri, che san tenere affascinati gli uomini. Ci spiega la potenza della croce, e della croce uncinata. Riflette sull’uso politico che è sempre stato fatto della pittura. Getta incanti, suscita evocazioni nel corpo sognante degli uomini.

Dunque nessuna ambiguità, nessuna parodia, nessun facile gioco con immagini note, ma una coerenza da lucido critico sociale e della cultura. Quando dipinge immagini della natura (cime innevate, boschi, marine, rive di laghi, ghiacciai) se ne percepisce subito l’aura, e il genius loci che vi presiede. Dipinga un bambino davanti alla torta di compleanno, o le immagini più spettacolari della propaganda sovietica o nazista, un’erotica star del cinema (dal titolo “la bellezza del diavolo”), o un pensoso Francesco  Giuseppe, un angelo lezioso o un corrusco paesaggio naturale, Montesano è sempre un “mago” nel senso rinascimentale e bruniano della parola: colui che conosce il potere vincolante delle immagini, l’operatore del mondo delle corrispondenze occulte, delle influenze subliminali, delle attrazioni fatali, dei colpi di fulmine. È l’interprete dell’anima mundi, la cui estensione nascosta fa procedere ogni cosa verso le altre. Montesano ha imparato, dal Bruno del De Vinculis, che “il ligabile, per essere davvero ligato, non necessita tanto di vere ligature, quanto di ligature apparenti, che dall’opinione derivano. L’immaginazione infatti può ligare anche senza verità, obbligare il ligabile mediante l’immaginazione… Solo l’opinione e l’immaginazione dell’inferno, senza alcun fondamento di verità, crea veramente un inferno”. E lo stesso vale per i paradisi fasulli promessi da pubblicità, cinema, religioni, propaganda politica.

Chi non conosce questo potere, resterà sempre nell’infanzia intellettuale, governato e diretto dai creatori e manipolatori delle immagini, perché queste sono idoli, capaci di esercitare influssi nefasti, addormentano, rendono inetti, fanno uscire dalla realtà. Ci sono perfino malati mentali tormentati dalle immagini, letteralmente posseduti, allucinati. Di ciò sono consapevoli tutti i potenti, che si circondano di poeti, pittori, scultori: sanno di aver bisogno di immagini da creare, per tener buono il gregge, incantato dai sortilegi dell’arte. L’anima dell’uomo che vuol restar schiavo, è un magnete che attira le immagini. E, come ricorda un motto fatto proprio da Marx “i grandi ci appaiono tali sol perché noi siamo in ginocchio. Leviamoci!”. Insomma, Montesano conosce la magia nera, stregonesca, delle maligne immagini che il Potere (qualsiasi potere) ci invia per dominarci, penetrarci, legarci, sottometterci. Rappresentandole, le esorcizza, ci invita a riflettere sullo stupore che provocano in noi. E sa che esse son tanto più pericolose, quanto più invitanti, carezzevoli, accattivanti. Dunque possiede una dimensione intellettuale e filosofica (rara fra i pittori, istintivi, talentuosi, ma di solito piuttosto ignoranti) che ne fa – più che un semplice pittore –  uno smascheratore delle più perfide tecniche di persuasione occulta. Infatti, le sculture le intitola “popolo coccio”, che si lascia beffare dai fabbricanti di immagini, cioè dai suscitatori di fede. Sottilmente, ci incanta anche lui, con le sue immagini, coi titoli suadenti, che stupiscono quindi instupidiscono… ma ci invita anche, questa è la sua sfida, a sottrarci a tale magia, a svegliarci dal torpore e levarci in piedi. Ci fa sue prede, ma per farci stanare i predatori che giacciono nascosti al fondo di noi, dove si sono insinuati mercé le immagini, e, da lì, demonicamente ci governano.

Giuseppe Benassi

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Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 22 – Marzo 2015.

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