
Gian Piero Chiavini è un autorevole membro di ITULLIANS, il Fan Club che riunisce amanti della musica dei Jethro Tull, ma lo si può considerare un partecipante ”attivo”, perché il suo amore musicale ha trovato un felice matrimonio con una passione inusuale, quella di collezionista di statuine contenenti lo strumento “flauto”, cioè il link più ovvio con il MAESTRO Ian Anderson. La raccolta ha portato enormi frutti che hanno trovato importante evoluzione nel corso degli anni, ed ora G.P., ne sono certo, possiede un primato inattaccabile. Analogamente a quanto accaduto con Alessandro Gaglione, altro importante “collezionista tullico”, ho cercato di scoprire qualcosa di più sul passatempo di Chiavini, scavando in profondità per fare emergere elementi di tipo psicologico. Non so se ci sono riuscito, ma in ogni caso resterà la testimonianza di un uomo che possiede un amore sconfinato per la musica, capace di rischiare la galera e la donna del cuore per aggiudicarsi all’asta una statuina in scadenza in orario notturno… tutto da leggere!




Esiste un pezzo a cui sei più legato? No, non credo di essere legato particolarmente ad un pezzo piuttosto che ad un altro. Certo, le statuine regalatemi dalle figlie e dal mio “aspirante genero” oppure dagli amici hanno un valore sentimentale particolare, mentre un’altra è stata l’inaspettata causa del sorgere di una bella amicizia seppur solo virtuale: un angioletto di Capodimonte che acquistai da Patrizia, una ragazza simpaticissima e gentilissima che vive negli USA ma originaria di Genova,. Da allora,visto che certe cose sono disponibili solo per il mercato statunitense, e’ iniziata una simpatica collaborazione con lei che mi fa, come le dico scherzando, da “pusher” per cose altrimenti per me inarrivabili. Grazie Patry ! Per il resto, molte sono indubbiamente delle vere e proprie opere d’arte in miniatura ed è un piacere guardarle ed apprezzarne la pregevole fattura. Per contro altre, specie i primi acquisti quando ancora non pensavo che esistessero così tante e diverse statuette col flauto traverso per cui compravo quasi di tutto, sono abbastanza banali e direi addirittura anonime ma questo lo dico adesso, perché per allora erano comunque emozioni ed in ogni caso il ricordo di quei primi tempi pionieristici e naif è ancora molto bello. Direi insomma che sono legato a tutte le mie statuine seppur per motivi diversi, sia nel loro multiforme insieme sia ricordando una per una come e dove le ho trovate e le emozioni nell’averle poi in mano e nel sistemare ognuna di esse vicino alle altre. E’ un po’, se mi si passa l’irriverente paragone, come avere intorno tanti figli e godere sia dell’idea di famiglia che apprezzare i singoli pregi ed i particolari ricordi legati ad ognuno di loro.

E’ una passione costosa la tua? In genere una collezione è abbastanza costosa, quantomeno se si calcola la somma totale di quanto si è speso per ogni singolo pezzo. Uno psichiatra potrebbe individuare nel collezionista un aspetto patologico, una sorta di mania, di dipendenza dal desiderio di possesso ed un atteggiamento ossessivo-compulsivo nell’irresistibile pulsione nel ricercare e comprare un oggetto per la propria collezione. In realtà il vero collezionista è assai equilibrato nello scegliere ogni pezzo, diventa pian piano un esperto negli aspetti afferenti all’argomento della collezione, sa valutare esattamente se il determinato oggetto merita o meno di essere acquistato e non fa mai acquisti avventati tantomeno dal punto di vista economico. Nella mia collezione comunque, essendo estremamente eterogenea cioè non facendo distinzioni di origine, tipo e materiale di fabbricazione dei pezzi, vi sono cose certamente abbastanza costose (netsuke giapponesi, porcellane tedesche o di Capodimonte e della Lladro, pezzi in giada e avorio, cristalli di Swarowsky) ma anche con valore assolutamente irrilevante come gnomi e fatine in resina, soldatini e gadgets in plastica e cose simili. In ogni caso, se volessimo valutare razionalmente questo aspetto, potremmo anche sostenere che si tratta di un investimento perché alcune cose, ad esempio pezzi d’antiquariato in porcellana pregiata, hanno un valore commerciale che con il passare del tempo aumenta. In altri casi capita che il valore aumenti considerevolmente se si riesce a completare una serie: per esempio sono riuscito a trovare, dopo documentazioni e ricerche, uno per uno tutti e cinque gli M&M’s flautisti di diverso colore di una serie di pocket prodotti solo nel 2009 e solo per il mercato francese. Acquistandoli separatamente è stata una spesa irrisoria mentre adesso l’intera serie ha un discreto valore nel mondo del collezionismo. Ovviamente si tratta in ogni caso di un valore intrinseco e teorico perché di sicuro non rivenderò mai nulla!


Che cosa vuol dire raggruppare ed esporre piccole rappresentazioni di Ian Anderson in forme differenti? E’ il contributo alla causa della musica? L’immaginare IL RE in modi differenti? Il sentirsi ancor più parte di un mondo che si ama profondamente? Come ti ho detto, non so per quale inconscio motivo (forse freudiano?) il flauto esercita su di me un fascino irresistibile, pensa che il mio primo folgorante impatto audio-visivo con questo strumento usato nel rock fu all’età di 12 anni vedendo a Sanremo (!) i Delirium di “Jesahel”, solo dopo e di conseguenza ho conosciuto i Jethro Tull. Il vedermi adesso circondato da una miriade di piccoli esseri flauteggianti è come essere immerso in un mondo fantastico, una sorta di “Paese delle Meraviglie”, le loro forme e i loro colori così variegati d’altronde ben si accordano con la musica dei Jethro Tull e di Ian Anderson, così multiforme e ricca di elementi derivati da tanti stili diversi. Inoltre, da quando ho conosciuto il fan club Itullians e sono entrato a far parte di questa specie di grande famiglia ho sempre avuto il desiderio di fare qualcosa per la “causa tulliana” invece che esserne soltanto uno spettatore passivo. Non so suonare nessuno strumento, non scrivo se non per me stesso ed in ambiti ristretti, ho organizzato qualche evento musicale ma sempre a livello paesano ….. questa collezione mi da l’illusione di aver fatto qualcosa di veramente mio in questo mondo nel quale ho trovato splendidi amici e persone stupende. Le volte in cui ho avuto modo di esporre la mia collezione (in veste di mostra fotografica perché sarebbe impossibile trasportare gli originali per la loro fragilità) è stata per me una gioia non narcisistica ma, se vogliamo, altruistica e cioè dimostrare agli altri, che in modo enormemente più impegnativo e complesso si dedicano al mondo tulliano, che non sono soli e che anch’io seppur nel mio piccolo ed in modo naif “dò una mano” alla causa della nostra musica. Per questo il mio inconfessabile sogno (che sto in realtà confessando) è quello di mostrare la mia collezione a Ian Anderson in persona: non certo per fargli vedere quanto sono bravo o quanto sono belle le mie statuine, ma per fargli omaggio, per dimostrargli che se al mondo oltre a milioni di persone che ascoltano la sua musica o che la ripropongono nelle cover band, c’è anche uno scemo che un giorno ha deciso di dedicargli la propria collezione … beh, significa che è davvero un musicista speciale. Confesso che una “prova” l’ho fatta quando alla Prog Exhibition di Roma nel 2010 incrociai Thjis van Leer e gli feci vedere le immagini dei miei flautisti che ho nel cellulare: rimase stupefatto e incredulo, saltò dalla gioia, mi abbracciò, mi dette la sua e-mail perché gli mandassi qualche foto. Certo Ian non sarebbe così espansivo, credo farebbe uno dei suoi enigmatici sorrisi e poi se ne andrebbe, ma sarei felice lo stesso perché sicuramente una particella infinitesimale di soddisfazione sarebbe penetrata attraverso la sua apparentemente coriacea scorza.
