Giancarlo Bozzani, Exercitus mortuorum, 2013, olio acrilico e bitume su tela, 70x100 cm
GIANCARLO BOZZANI
PHÁNTASMA
Spazio Rosso Tiziano, Piacenza INAUGURAZIONE: Venerdì 11 Ottobre 2013 ore 18.30
Termine mostra 30 ottobre 2013
via Taverna 41
29121, Piacenza
ΦΑΝΤΑΣΜΑ
L’immaginario di Giancarlo Bozzani è la parvenza di forme intuite. Vorrei innanzitutto, prima di immergermi in questo immaginario, spendere due parole sui fantasmi, non per stupirvi con effetti speciali – moi? jamais! –, ma per costruire un corridoio concettuale che consenta di accedere con agio al senso della sua inedita produzione artistica. Forse non tutti sanno che il termine greco phàntasma (φάντασμα) significa "apparizione" e non a caso Platone ci spiega come noi siamo inesorabilmente inchiodati a un mondo di ombre fugaci, essendoci la vera realtà, quella che sta al di fuori del ristretto circolo della nostre rappresentazioni, del tutto sconosciuta: quel che “sembra” non “è” affatto, si tratta solo di apparenza, fuoco fatuo e nulla più. Ecco perché i fantasmi sono così eterei! Diciamo quindi che le cose che appaiono nel mondo là fuori – sempre se vogliamo seguire don Platone sui suoi passi, naturalmente – hanno un grado di realtà “diminuito” rispetto alla vera realtà, che nella fattispecie dovrebbe prendere la forma delle cose come realmente stanno, cioè a prescindere dal fatto che noi siamo lì a guardarle. Ne discende che il mondo là fuori in fin del conto ha poca importanza, essendo la pallida imitazione di una realtà presunta più vera. E ne discende altresì che, tenendo per buona la concezione dell’arte come mimesis, da questo punto di vista – che però non è affatto il punto di vista dell’eternità! – le arti visive risultano doppiamente ingannevoli, in quanto imitazioni di un’imitazione. Ma a prescindere dalle dispute metafisiche circa la reale esistenza del mondo esterno e alla "veridicità" delle arti, ciò che veramente conta qui è la connotazione di termini come “parvenza”, “fantasma”, “apparizione”, “intuizione”, “immaginario”, “immagine”, perché non solo noi contemporanei stiamo vivendo in pieno l’epoca dell’immagine (Baudrillard docet, e se lo dice lui) e della realizzazione dell’immaginario – stiamo altresì potenziando la realtà diminuita con le applicazioni della realtà aumentata! – , ma anche e soprattutto perché in questa nuova serie artistica di Giancarlo Bozzani la raffigurazione di forme determinate, fissata sulla superficie pittorica, traduce nel linguaggio visuale dell’immagine l’apparizione fantasmatica di entità, corpi, soggetti, provenienti da una dimensione “altra”, epifenomeno, manifestazione collaterale di una “intravisione” noetica,
un’intuizione di forme slegata da connotazioni argomentative e razionali da cui prendono vita soggetti in qualche modo avvertiti, intuiti e che sopravvengono rispetto alla trama di un film pittorico già predisposta secondo il "metodo" della pittura d'azione: colate, getti, macchie spontanee di colore sulla tela – colore, che nella produzione artistica di Giancarlo Bozzani, è fondamentalmente uno solo, il Terra di Cassel. Come gli espressionisti astratti, Bozzani disputa il suo certamen con l'atto creativo, che nella fattispecie prende la forma di un confronto/scontro con la suaccennata “visione” a-razionale attraverso la quale appaiono, intuite e successivamente codificate via spatola, pennello e applicazioni su una superficie fatta di acrilico, olio e bitume, forme naturali che danno luogo a una narrazione: l'astrazione del gesto pittorico in Giancarlo Bozzani si fa figurazione, dalla trama del fondo oscuro e pittato con Terra di Cassel appaiono, si manifestano, creature che lovecraftianamante "sussurrano nelle tenebre", cavalli diabolici, monaci, streghe, teschi, Cristi perversi e le oscure figure della notte senza fine. Creature che non vengono definite anteriormente al farsi della pittura e nemmeno ricevono una precisa determinazione in corso d’opera, ma piuttosto sono surdeterminate, secondo quel che si dice nel linguaggio psicanalitico a proposito dei contenuti dell’abisso dell’inconscio, da più cause convergenti e secondo uno “schematismo” che è tutto dell’immaginario: la mano dell’artista non fa altro che “portarle fuori” dal loro fondo oscuro, che è in tutto e per tutto il fondo della tela, scavando e togliendo di spatola, come quando un archeologo porta alla luce le vestigia arcaiche di un’antica civiltà. Il risultato è dato da forme in via di apparizione che hanno del fantasmatico, intraviste nel film pittorico e oggettivate in un caos ordinato, dove la composizione proteiforme e magmatica di “entità” che potremmo definire extrafenomeniche rinnova, attraverso il far/si della pittura, quella “visione” apparentemente de-realizzante che è in tutto e per tutto un “portar fuori” i contenuti creativi di un abisso, quello dell’inconscio o anche un “luogo” del tutto immaginifico come un ipotetico “Altroquando” della pittura.
Emanuele Beluffi