di Iannozzi Giuseppe
Giancarlo De Cataldo con “I traditori” (Einaudi) tenta la strada del romanzo storico, o d’avventura.
Giancarlo De Cataldo pecca di presunzione: ricostruisce la Storia in maniera assurda. E’ il suo un revisionismo storico più che mai arbitrario e disgraziato. La tentazione sarebbe di dire che De Cataldo violenta la Storia d’Italia in maniera mafiosetta tenendo il piede in due staffe. Non un romanzo sul Risorgimento, ma un pastrocchio sfuggito alla penna di un parvenu che dopo il mediocre “Romanzo criminale” ha saputo produrre schifezze raffazzonate con il solo scopo di ingombrare il mercato editoriale.
Ne “I traditori”, l’autore disegna il suo personalissimo Risorgimento e lo infarcisce di innumerevoli personaggi che gli sfuggono dalla penna per ribellarsi in un’orgia confusionaria. De Cataldo scrive talmente male che persino Mazzini finisce con l’assomigliare a un Borbone.
Lavoraccio da azzeccagarbugli manzoniano: il thrillerista De Cataldo ha tentato la carta del romanzo storico di ampio respiro e per tutto risultato il lettore si trova a dover fare i conti con un pastrocchio delinquenziale scevro di qualsivoglia coerenza espositiva.
De Cataldo ha scritto parecchio e ha pubblicato fin troppi romanzetti invalidi. Dopo il mediocre romanzetto di genere “Romanzo criminale”, ha dato in pasto all’editoria il suo vergognoso seguito “Nelle mani giuste”; non sapendo che fare ha poi ripescato “Onora il padre” (già apparso nella collana da edicola Il Giallo Mondadori) e non contento ha prodotto un imbarazzante quanto sempliciotto lavoretto come “Il padre e lo straniero”.
Si consiglia a Giancarlo De Cataldo di appendere la penna al chiodo, anche se è ormai tardi, le sue porche figure se l’è fatte tutte una dietro l’altra.