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Giancarlo Pontiggia: teatrino degli uomini

Da Narcyso

Giancarlo Pontiggia: teatrino degli uomini

Giancarlo Pontiggia, STAZIONI, NEM 2010
Giancarlo Pontiggia: teatrino degli uominiHa il significato di un apologo morale questo libro di Giancarlo Pontiggia, necessario per quello che dice: monologhi brevissimi, dialoghi; non per il decoro delle psicologie, s'intende, ma per la conflittualità frontale che sa immaginare con un pubblico, quello reale, della rappresentazione scenica: che viene preso a calci; fatto riflettere, letteralmente, in uno specchio portato dagli attori con le rotelle, costretto a rivedersi nello specchio dei personaggi rappresentati, dialogo dopo dialogo, situazione dopo situazione. Perché non si tratta, qui, di spiegare, di convincere, quanto di esercitare il nostro diritto a sapere, perfettamente consapevoli della fine e per questo totalmente immersi nel gioco carnascialesco delle falsità, fino alle luci dell'alba. Di che cosa parla, dunque, questo libro? Se ne stupisce lo stesso autore: " E' stato come un'apertura improvvisa su un territorio di cui ignoravo tutto, e che mi ha immediatamente soggiogato. [...] Stazioni, appunto, come riferimento alle stazioni della via crucis, ma anche al significato etimologico del vocabolo: luoghi dove si sta, spesso per caso, dove si è condannati a stare, e quindi anche gironi purgatoriali." Dunque incontriamo, quasi sempre per le vie di Milano: mimi che cercano la felicità; funzionari, militari, vagabondi; sbandati, passanti, pazienti, analisti; attori martirizzati dal testo senza senso di un commediografo narcisista; spettatori ebeti, senza midollo spinale; ricchi e poveri, ladri, pazienti, assistenti; barboni in piedi e barboni seduti; funzionari di borsa silenziosi e vuoti; istruttori di call center sfruttatori di manodopera. La Fortuna. Coreuti, angeli, ombre. Infine anche la morte, necessaria e rassegnata. Tutti espongono un problema, inducono a una riflessione, ora amara e disarmata, ora tragicomica con finale ad effetto. Ogni parola, ragionamento, frammento di dialogo, si riveste di senso, passa velocemente sulle travi di un palcoscenico girevole come la vita dove si alternano gli uomini, sempre uguali a se stessi, fuori e dentro il tempo, sempre in preda ai fumi delle grandi domande, ricchi e poveri, saggi e stupidi, dannati per scelta o per caso, o aspiranti al divino. Fino al testo più disperato: quello di una madre che obbliga a un giuramento il suo bambino: "Abituati al male, piccino, sii forte fin d'ora, rinuncia a tutto, cresci come un nobile in esilio [...] vivrai nello schifo fino infondo, sfiderai l'orrore senza un gemito, senza un batter di ciglia. Sarai duro, e spietato, e dirai no ad ogni seduzione. E' questo che voglio da te, ricordalo! Per questo ti ho partorito. Giuralo". Un incitamento alla resistenza, nel modo a cui forse i tempi nuovi ci preparano; e cioè l'indifferenza necessaria, il soggettivismo eroico che ha dato i frutti che conosciamo.
Sebastiano Aglieco

(da Annuario puntoacapo n. 1)

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