Tutti a scervellarsi sulla ragione prima che ha lentamente ma irreparabilmente portato Fini fuori dall’orbita di Berlusconi. Il primo a chiederselo fu Pino Rauti, poi Francesco Storace, poi Assunta Almirante, senza saper trovare un motivo; poi furono i suoi colonnelli, che ipotizzarono un disturbo neurologico, di quelli che si risolvono con due ceffoni; e poi, via via, ce lo siam chiesti in cento, in mille e poi a milioni, chi pensando stesse splendidamente maturando in senso liberaldemocratico, chi pensando stesse vilmente tradendo la sua storia e i suoi ideali; e però tutti all’oscuro del profondissimo perché.Si è congetturato, questo sì, e in tutte le direzioni: un profondo travaglio esistenziale, dunque psicologico, dunque culturale, dunque politico; una irriducibile antipatia personale nei confronti di Berlusconi che, dalla pelle all’osso, gli andava trasformando carne e sangue, da camerata a compagno; una smaniosa impazienza nel star lì a fare il delfino, sopportando ancora per chissà quanto tutte quelle barzellette sceme e quelle odiose manate sporche di cerone sulle spalle; si è pensato a tutto, siamo arrivati a niente di sicuro.Piacesse o no, sembrasse schiettamente genuina o smaccatamente opportunistica, l’evoluzione o l’involuzione di Fini rimaneva senza spiegazione pienamente convincente, sicché chi l’apprezzava non rinunciava a qualche riserva e a chi la deprecava giravano terribilmente le palle. Più facile star lì a pazientare – ieri l’ha ammesso pure lui – e tutti, simpatizzanti ed antipatizzanti, hanno dovuto convenire. Ok, ma perché non ha pazientato?
Oggi è finalmente tutto chiaro, grazie ad Alessandro Gilioli: “Gianfranco Fini doveva avere bene in mente il destino di Martelli”, e a differenza di quello s’è mosso in tempo, prima che fosse troppo tardi, prima dell’inevitabile “implosione devastante” che sempre sta “alla fine della parabola” di “capi assoluti come Craxi o Berlusconi” e che inesorabilmente “inghiotte chi non ha saputo prenderne le distanze per tempo”.Tutto quadra, ora. Fini prevedeva l’implosione del berlusconismo prim’ancora che andasse a regime, fin dal 1995, quando a Fiuggi ripudiò il fascismo al solo scopo di guadagnare simpatie fra gli antifascisti, che potevano sempre tornar comodo di lì a tre lustri. Tutto il resto – la visita in Israele, i sì al referendum sulla legge 40, le apertura sulle coppie di fatto e sulle politiche di integrazione degli immigrati, la difesa della Costituzione e della laicità dello Stato, eccetera – è stato solo di contorno: stava svendendo l’anima per salvare il culo. Ad essere altrettanto previdente, Martelli avrebbe dovuto cominciare a prendere le distanze dai socialisti dal 1978 in poi.
“Nessuno sa se il berlusconismo finirà fra un anno o fra tre, in modo chiassoso o felpato, pacifico o violento, ma a un certo punto finirà e chi non si è preparato sarà fuori dai giochi”: Fini va preparandosi da 15 anni. Se non son rane, piovono miserie dello storicismo.