Giovanni Berardi e Gianfranco Pannone
Se nel mondo il cinema documentaristico è di sicuro appannaggio di Michael Moore (oggettivamente è il documentarista più famoso al mondo), in Italia il documentario porta soprattutto il nome di Gianfranco Pannone.
Bastano solo tre titoli della sua filmografia per rafforzare tale affermazione: Latina- Littoria. Una città (2002), pellicola con la quale ha trionfato nella sezione documentari del TorinoFilmFestival del 2001; Il sol dell’avvenire (2006), che è passato tra roventi strascichi di polemiche nell’ambito del Festival di Locarno; Ma che storia…(2010), presentato, coronato da un notevole successo di critica e pubblico, alla sessantasettesima mostra del cinema di Venezia. Senza trascurare che, in mezzo, troviamo altri titoli notevoli come Cent’anni della nostra storia (2006), un documentario che tratteggia la storia del glorioso sindacato della Cgil, passato proprio al setaccio da Pannone attraverso interviste e testimonianze di decine e decine di lavoratrici e di lavoratori, ed anche attraverso una lunga intervista a Vittorio Foa, uno dei padri nobili del mondo sindacale italiano, e come L’America a Roma, film che nel 1999 è stato scelto per aprire il festival di Locarno, un documento dove esce commosso ed intatto l’amore infantile per il cinema, insieme a tutta la malinconia della grande epopea western degli anni sessanta, ricordati da Pannone davvero con le lacrime agli occhi.
Pannone aveva subito anche un forte linciaggio a proposito del suo film Il sol dell’avvenire (tratto dal libro inchiesta Che cosa sono le Brigate Rosse di Giovanni Bianconi e Alberto Franceschini), tanto da farlo diventare uno dei suoi film più famosi e, proprio per questo, il più visibile. Il ministro della cultura dell’epoca, Sandro Bondi, nella sua lettura del film aveva trovato tra le righe una sorta di apologia del terrorismo, mentre noi, invece, gli avevamo accostato un percorso culturale che non poteva non essere politico, quindi cinematograficamente e storicamente accettabile, sulla realtà del terrorismo delle Brigate Rosse in Italia negli anni settanta. La diatriba è andata avanti per mesi, l’Associazione familiari vittime del terrorismo è intervenuta a sostegno della tesi del ministro, ma alla fine il problema si è trasferito politicamente solo sui margini del finanziamento che lo stato aveva elargito (250.000 euro) per garantire la realizzazione del film. Ed il ministro Bondi tuonò: “Da oggi in poi ci sarà un controllo politico su opere che trattano meriti ideologici”. Insomma il ministro parlava di reinserire una sorta di censura a monte, proprio all’atto della richiesta di finanziamento al ministero. Noi, che conosciamo Gianfranco Pannone sin dai tempi in cui la sua professione era ancora un semplice ideale legato ad una forte passione, sappiamo che il regista amava molto il cinema anglosassone e che sicuramente da quella tradizione britannica deriva la sua precisa predisposizione realista. Il documentario in Italia ha sempre goduto di assoluta buona salute, prove ulteriori si hanno dal numero considerevole di opere prodotte; i festival internazionali, ma anche quelli nazionali, del cinema ne selezionano tantissime e quando il pubblico riesce a vederli li apprezza molto. Il problema è che nel nostro paese, per questo genere cinematografico, continua a persistere quasi una sorta di negazione, per cui il documentario nelle sale pubbliche ed in televisione continua ad avere poco spazio, se non proprio nullo. Succede ancora che tanti autori, anche se hanno vinto premi importanti in festival internazionali, non sanno mai se, e quando, i loro film saranno visti dal pubblico. Questo è un dato che è emerso, proprio completamente, anche dalla bellissima prima edizione dell’Underground Cisterna Film Festival, svoltosi a Cisterna di Latina qualche settimana fa, e di cui Gianfranco Pannone è stato uno degli illustri ospiti.
Dice Pannone: “L’errore grosso che si fa, ancora oggi, è che quando si parla di documentari il pensiero esclusivo corre, quasi spontaneo devo dire, verso il genere dedicato agli animali. Niente di più falso invece, e non perché quelli non siano documentari interessanti, ne sono stati fatti anche di bellissimi che nel mercato vengono definiti di taglio naturalistico, ma non sono, e non devono essere, assolutamente gli unici. Un documentario può avere benissimo un taglio anche storico, sociale, scientifico ed anche creativo. Io, ad esempio, sono ormai più di vent’anni che cerco di fare andare il mio lavoro verso una dimensione assolutamente creativa. Voglio dire che cerco di realizzare sempre un documentario che, in qualche modo, crede nell’atto creativo del regista”.
Dunque niente documentari divulgativi nel curriculun di Pannone (che per molti ancora oggi rimane la chiave unica del genere), ma bensì un tentativo forte di comunicare il suo esclusivo e poetico punto di vista. Tra i suoi progetti futuri, che sono molteplici, c’e finalmente, ad ottobre, la distribuzione in dvd del lungometraggio a soggetto Io che amo solo te (2004), il suo primo ed unico film di fiction realizzato sinora, interpretato da Cesare Bocci, conosciuto dal grande pubblico per essere stato il medico vedovo di Elisa di Rivombrosa e di essere Mimì Augello, braccio destro del commissario televisivo Salvo Montalbano. Il film nelle sale non è mai arrivato, fa parte di quella lunga schiera di opere italiane rimaste invisibili. Nel periodo di edizione il film non era riuscito a garantirsi una distribuzione, nonostante l’interesse mostrato da importanti colossi come la Mikado, la Lucky Red, la Fandango, ed era stato selezionato per un eventuale passaggio al Festival cinematografico di Berlino. Ma il film era, forse, “necessariamente” sbagliato per i tempi politici correnti del periodo.
Dice Pannone: “Ho raccontato la storia di un intellettuale, che dopo un percorso “faticoso” a sinistra, si butta a fare politica con un movimento di destra. Forse questa possibilità di transfert ha scontentato un po’ tutti”. Attualmente Pannone è sul set del film Scorie in libertà, un progetto ripreso dopo un abbandono, perché come ci ha spiegato “ci si sente artisti, ma non dimentichiamo mai di essere dei cittadini”. Pannone racconta che Scorie in libertà subì, a suo tempo, molte traversie produttive, tanto da farlo rinunciare all’impresa. Sarà un fatto privato e doloroso del regista a fare si che il progetto sia ripreso. Dice Pannone: “Il progetto interessava all’origine vari interlocutori, tutti disposti a dare una mano in senso produttivo: la provincia di Roma, che è espressione del Partito Democratico, perché era interessato Nettuno con il suo poligono, il consorzio per gli industriali del Lazio ed alcune società francesi. Poi varie mutazioni nel sistema suggerirono a queste realtà di farsi da parte. Che so, il partito Democratico cominciò a pensare, tra virgolette e per un attimo, in maniera un po’ più nuclearista; le società francesi, “consapevolmente”, presero coscienza che il loro paese era circondato in fondo da ben sessanta centrali nucleari; il consorzio industriale del Lazio si rese conto che Berlusconi cominciava a trattare con Sarkozy iniziative politiche e commerciali sul nucleare. Così il progetto entrò in crisi”. Quindi è la scoperta della malattia della zia, che abita la zona proscenio del film a fare si che il progetto raggiunga motivi realizzabili. Dice Pannone: “Ho deciso che non dovevo restare silente. Un territorio così’ barbaramente usurpato, assediato, andava raccontato spogliato da ogni interferenza di comodo”. Pannone, che sta realizzando il film in maniera libera, lontano dai dogmi e dalle grandi finanze, è proprio entusiasta di questa nuova fatica. Dice Pannone: “Giro questo film perché quando torno a casa la sera voglio specchiarmi e vedere riflesso un viso disteso, un viso fiero del proprio lavoro”.
Cosa racconterà, in definitiva, Scorie il libertà? Dice Pannone: “Si racconta il territorio pontino intorno alla centrale nucleare. Territorio in cui è stato, scempiamente, fatto di tutto: discariche, poligoni di tiro in cui si ipotizza addirittura l’uso dell’uranio impoverito in qualche occasione passata. Racconto tutto questo tenendo conto anche delle varie complicità, che non sono solo politiche beninteso: l’acquisto di un terreno pagato oltre il 30-40% in meno del suo prezzo di mercato significa che qualche cittadino non ha avuto scrupoli a piegarsi a qualche volontà corrotta, non ha esitato a restare silente, pagandone poi prezzi altissimi, in malattie e disagi di ogni tipo, alla speculazione del potere politico e imprenditoriale”.
Noi pensiamo che un film come Scorie in libertà sarà tanto più importante ed utile perché non dimentica un dibattito che deve essere sempre acceso e vigile. In fondo, sino ad oggi, non sappiamo ancora quale sarà il futuro delle scorie nucleari dell’intero paese, né se queste scorie sono tuttora in condizioni che possiamo definire di massima sicurezza. Tutto continua a restare così incerto e poco rassicurante. I territori di Latina, Nettuno ed Anzio, ad esempio, hanno convissuto per anni con una centrale nucleare ed un poligono di tiro militare distanti solo otto chilometri l’uno dall’altro. E ciò senza sapere se le strutture intorno, mettiamoci pure gli ospedali civili di Latina, Nettuno, Anzio, Velletri, Terracina, Priverno, Sezze,erano effettivamente preparati a fronteggiare una emergenza qualsiasi legata ad un disastro nucleare possibile, visto l’attività di fuoco esercitata solo ad otto chilometri dal mostro di ferro. Ben venga quindi Scorie in libertà, che di queste anormalità certamente sarà testimone, e che la fatica di Gianfranco Pannone sia ripagata da una sana discussione sul tema, in maniera, finalmente, scientifica e meno rozzamente politica ed imprenditoriale.
Giovanni Berardi
Scritto da Redazione il set 20 2011. Registrato sotto DA UOMO A UOMO, RUBRICHE, TAXI DRIVERS CONSIGLIA. Puoi seguire la discussione attraverso RSS 2.0. Puoi lasciare un commento o seguire la discussione