A. Gloria Marigo per DANZA DI NERVI di Gianluca Conte - Lupo Editore, 2012
In epigrafe a Danza di Nervi – Lupo Editore 2012, Gianluca Conte pone una riflessione insie
me oblativa e assertiva che dichiara il composito orizzonte – persone care, sconosciuti, accadimenti, problematiche sociali, natura - dal quale estrarrà materia per la poesia, comporre la terza raccolta che manifesta la forte presenza dell’elemento etico, quale connotato che informa la partecipazione del poeta al mondo come un attraversamento, meglio, un viaggio che si contamina delle cose della vita, che non lascia spettatore neutrale, ma provoca un ventaglio di sentimenti che passano dalla commozione, attraverso la compassione, all’indignazione nello specchio della responsabilità, poiché è in questo elemento – insieme con l’altro della dignità - che ci si può presentare nel mondo, farne parte: - Carne viva o materia inerte,/la scelta è tua – ho sentito dire./ pag. 25 -- Io pianto radici nella strada, dove non cresce/niente./Io decido i giorni, spire come serpi antiche/perso in androni privi di pietà./ pag. 19 – E’ in questa lirica di apertura che l’io lirico coincide con l’io dell’uomo e la forza del pronome di prima persona esprime tutta la potenza di una affermazione che non lascia ombre sull’operare, né sulle intenzioni, né sulla visione del mondo che si manifesta come attraversamento – “strada” - del “niente” o luogo dalle forme velenose e archetipe o scalzato da ogni conforto umano.
Intrapreso il viaggio, inevitabile è l’incontro, il trovarsi con l’altro, vedere, cercare la prossimità o la distanza, percepire il tempo ineluttabile nel suo sovrastare ogni fatto e affetto, constatare che lo spaesamento è reale, non una dissertazione per intellettuali. Contemporaneamente il poeta denuncia la desolazione dello stare, poiché qualcosa stride, qualcosa viene a mancare o non si compie e nulla può essere condotto a misurazione, giacché sembra vigere su tutto il segno dell’inafferrabile, della mancanza di ragione: - Qui la notte taglia il giorno di traverso/nelle nebbie appese ai muri/nei treni cigolanti/nelle storie finite male/nei contorni mai tracciati// pag.21 –
La vis poetica di Gianluca Conte si fa prossima a certi metafisici – Montale, Eliot – poiché il verso scarno, libero, con l’interna musicalità che inerisce all’affermazione di Schönberg "nella musica non c'è forma senza logica e non c'è logica senza unità”, la predilizione per la parola assoluta, i rarefatti aggettivi, gli ossimori, gli incipit fortemente assertivi ( Ecco il lamento…pag.24 – Oggi pianto…pag.26 – Io sono la paura… pag.27- C’è una linea… pag.28 – E’ il verme che c’è… pag.29 – e molti altri) scolpiscono una raccolta in cui il connotato estetico non risolve la domanda della bellezza formale, superandola e coincidendo con la valenza etica, consegnandoci la presenza della creatura umana quale “stella di buio” pag. 60 - e “tutto e niente” pag. 61 – per concludere con la bellezza essenziale di Tu non sai/della solitudine che avvolge./Sarà poco il soffrire/e inutile la pena,/com’è poco/il darsi al Nulla. Pag. 36 –
Il Poeta ci indica con la forza assertiva della sua parola, con la scarnificazione del verso, con alcune liriche prossime agli epigrammi che l’unico modo
di stare nel mondo è di essere uomini etici, portatori di un sentimento e una ragione il cui incontro è morale. (Adriana Gloria Marigo)
Da Danza di nervi
L’albero della vita non cresce tra i morti – dicevano.
Qui nel giardino dei pazzi è tutto su una tela,
schizzi carichi d’interiora
rivoltate, senza senso.
Io pianto radici nella strada, dove non cresce
niente.
Io decido i giorni, spire come serpi antiche
perso in androni privi di pietà.
Dopo l’acqua alta, non puoi tornare.
Tu non sai
della solitudine che avvolge.
Sarà poco il soffrire
e inutile la pena,
com’è poco
il darsi al Nulla.
Qui le ore sono nere quaresime
ammucchiate nei giorni dell’oblio
sono bare che passano a raccogliere
croste di pane stantio
nelle pance vuote e gonfie
nelle larghe orbite cave.
Qui giochiamo il gioco degli imbecilli
sporti su un vuoto amico degli ubriachi
che festeggiano il nulla
accompagnando le danze al ritmo di un cane.
Una tovaglia a quadri verdi e gialli.
C’era tutta Vera in quel tessuto.
Ma loro non videro che la materia bruta
la grezza stoffa che raspava
e non ricambiarono la sua dolcezza.
Vale così poco un sorriso?
Fuori s’è perso il senso del possibile,
ecco perché noi siamo qui dentro.
Non mi dici che hai paura anche tu
quando azzannano le tenebre
e le figure del terrore arrivano a toccarti.
Aspetti che sia io a sollevarti
a dirti che ci sono, che sono ancora qui
a sfiorarti il viso, ad abbracciarti.
* Tutte le poesie sono rigorosamente senza titolo
Gianluca Conte è nato a Galugnano (LE) nel 1972. Laureato in filosofia, è poeta, scrittore, operatore culturale. Con il Centro Studi Tindari Patti ha pubblicato la silloge Il riflesso dei numeri (2010), finalista al concorso nazionale “Andrea Vajola”. Con Il Filo Editore, ha pubblicato Insidie (2008). Ha partecipato a diversi concorsi letterari ottenendo vari riconoscimenti.
Ha fondato, insieme a Michela Maria Zanon e Tiziana Pezzuto, l’associazione artistico-culturale “Eterarte”; con la Zanon ha dato vita al gruppo di lavoro “Apotema”, col quale porta avanti progetti culturali di ampio respiro. Da alcuni anni lavora a “Madri a Est”, uno studio sulla situazione postbellica in Croazia e nelle aree limitrofe, nato dai soggiorni dell’autore in terra balcanica; dal materiale di questa esperienza in progress sono stati tratti degli scritti inediti, alcuni dei quali diventati letture sceniche.
L’indirizzo del suo blog è: glucaconte.blogspot.com