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Gianni Amelio: “Se andrò all’inferno, come è probabile, sarà per aver abusato del cinema fin da ragazzino”

Creato il 11 dicembre 2015 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma
Amelio-Berardi

La vita di  Gianni Amelio è davvero una vita spesa nel cinema. Ed inizia, esattamente, da spettatore appassionato. Ci ha raccontato infatti che deve il grande amore per il cinema, forse, ad un film visto quando era piccolissimo (noi pensiamo era già allora Il piccolo Archimede, come il titolo di un suo film del 1973), proprio al suo primo film visto al cinema, Golgota, un bianco e nero del 1935. Dice Gianni Amelio: “Nel mio paese, San Pietro di Magisano, non c’era il cinema. I film, uno o due all’anno al massimo, arrivavano d’estate, proiettati su un lenzuolo bianco steso in piazza e con una pellicola da 16 millimetri presa in affitto da qualcuno rientrato dalle vacanze…”. Sin da bambino a Gianni Amelio stare semplicemente al cinema non bastava, così come non gli bastava mai quello che vedeva: “per questo incominciai subito a raccogliere tutto quello che parlava di cinema, ritagliavo le foto che trovavo e le incollavo su degli album che ancora conservo, sopravvissuti letteralmente ai tanti traslochi ed alle tante traversie della vita…”. Più tardi, ancora in Calabria, cresciuto un po’ negli anni, proprio per dare come dice “un senso professionale alla mia cultura cinematografica cominciai ad organizzare un cineclub. I primi tre film scelti per la proiezione ricordo erano, nelll’ ordine, Un uomo da bruciare di Paolo e Vittorio Taviani, Il posto di Ermanno Olmi, Banditi ad Orgosolo di Vittorio De Seta.  Nel frattempo Amelio frequenta l’università a Messina, indirizzo filosofia, ed inizia a scrivere recensioni per un giornale di cinema a Catania: “i primi soldi però arrivarono dalle supplenze scolastiche..” spiega Gianni Amelio “…in giro per tutti i paesini della Calabria…”. Era ancora il 1965, da quei primi guadagni l’opportunità di un viaggio a Roma, solo per pochi giorni ed ospite di un amico. In realtà da Roma Gianni Amelio non se ne andrà più: “…è stato il tempo magico della mia vita… Il luogo in cui, in qualche maniera, il sogno e la realtà venivano messi a confronto…”. Perché era a Roma che si incontrava il cinema vero, il cinema in produzione, il lavoro della pellicola che diventava film, quel cinema insomma per cui Gianni Amelio nutriva un amore ossessivo, forse diventato anche un po’ maniacale: “…a Roma sono diventato davvero adulto…”, a Roma Gianni Amelio aveva capito che il cinema era per lui “…l’anello di confronto tra il sogno e la realtà…”.

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La prima grande esperienza a Roma, nel cinema, è con Vittorio De Seta: “…avevo letto su L’Unità che De Seta, uno dei registi che più amavo, si apprestava a girare un film. Allora mi ingegno, trovo il modo di contattarlo, chiedo un’intervista, De Seta disse subito di si. Raggiungo il suo ufficio, ma in realtà ricordo che è stato più De Seta a fare domande a me che io a lui… De Seta era di origini calabresi e conosceva per sentito dire tutti i luoghi della mia infanzia. Mi ritrovai insomma dopo poche ore sul set del suo nuovo film a fare l’assistente. Il film era  Un uomo a metà”. Gianni Amelio era ormai finalmente sui luoghi che aveva sempre sognato, i luoghi dove davvero si faceva il cinema. Ora non ci crederete, osservando l’austerità e la severità del suo cinema, ma Gianni Amelio, dopo l’esperienza con De Seta, si è tuffato dentro il mondo del cinema attraverso il film-canzone e il genere western, e del western più scalcinato anche, quello girato in fretta e furia a ridosso dei capolavori di Sergio Leone. Dice Gianni Amelio: ”…era quel cinema che in quel periodo, gli anni sessanta, nasceva anche da situazioni buffe e caratteristiche, che so, ad esempio ci poteva essere l’incontro con il cinema di un industriale delle mozzarelle, delle ceramiche o dei profilati di alluminio,  che a un bel momento decideva di darsi alla produzione cinematografica, magari solo per amore di una attrice….”.

Così ridevano

Dunque il percorso che porterà Gianni Amelio a diventare ed a restare oggi uno dei più autorevoli e compresi registi italiani inizia proprio da questi contesti, in questi processi, quelli essenziali in fondo, che riguardano anche il  cinema più popolare. Dice Gianni Amelio: “…al termine della mia esperienza come aiuto nei western all’italiana, conosco Lina Wertmuller che all’epoca faceva il cinema raccontando un po’ le canzoni. Così  mimetizzando entrambi i nomi, io come aiuto e Lina come regista abbiamo girato una serie di questi film, Rita la zanzara ad esempio e Non stuzzicate la zanzara, e poi un altro ancora, con Morandi questa volta, che però fu interrotto anzitempo dal produttore Lombardo perché si convinceva sempre più che questo che stavamo facendo con Morandi, sempre su quella scia del cinema-canzone, stava diventando un film troppo intellettualistico… Pensa un po’. E questo semplicemente perché Lina stava realizzando davvero un bel film, un contesto storico in cui metteva insieme tre grandi giovani comici dell’epoca, Pippo Franco, Lino Toffolo, Ugo Maria Amorosi, inventando con loro una serie di sketch divertentissimi e mai banali, per intercalarli poi con le canzoni di Morandi. Lombardo non capì assolutamente questo intreccio, vedeva solo che Gianni Morandi stava per scomparire, si insomma la storiella d’amore tra lui e Laura Efrikian stava secondo lui perdendo completamente la visibilità, e lui invece puntava molto su quello, così convocò Lina ed intimò immediatamente lo stop alle riprese senza sentire ragioni… Ricordo poi che quel film, quella storia, fu rigirata completamente da un altro regista, il cast rimase lo stesso, ma tornò in primo piano l’idea principale di Lombardo, quella della storia sentimentale tra Morandi e la Efrikian…”.  Il film che poi fu realizzato su questa scorta di storia sarà infatti Chimera,  1968, girato da un regista che era un po’ lo specialista del genere del cinema-canzone, Ettore Maria Fizzarotti. Dice Gianni Amelio: “comunque tutte quelle aiuto regie, in quel tipo di film, per me sono state davvero delle esperienze esaltanti. Con il western all’italiana poi mi sono fatto davvero le ossa. E l’esperienza con Giulio Questi per Se sei vivo spara davvero notevole. Ricordo che partii per la Spagna, perché è li che si ambientavano principalmente questi film… C’era nel periodo il rapporto tra le coproduzioni italo, franco e spagnole soprattutto, una formula produttiva molto in voga e che funzionava davvero forte…Con questo metodo si facevano davvero un film dietro l’altro. Ricordo infatti che dovevo restare in Spagna per un solo film, quindi era previsto un arco di venticinque trenta giorni ed invece rimasi laggiù un anno intero. Si girava proprio un western dietro l’altro…”. Dice ancora Gianni Amelio: “mi sono divertito certamente di più a fare l’aiuto nei western che non nei film intellettuali ai quali ho pure partecipato molto. L’apprendistato tramite quei film “dozzinali”, i western ed i  film canzone, non mi è servito tanto per imparare la tecnica, quella la si impara davvero in fretta e la si mette da parte, ma ho imparato proprio ad assaporare il gusto di fare questo mestiere, che è la cosa davvero importante…”. Anche oggi che è un regista affermato, Amelio rimane sempre uno spettatore, quasi un malato, come ci ha detto  “…che vede di tutto, quasi senza scegliere, senza la puzza sotto il naso…”. Tra tutte queste deliziose ed esplosive, come pare di capire, aiuto regie, arriva anche per Gianni Amelio il turno poi di passare alla regia.  Il primo film prodotto è La fine del gioco, girato per la Rai, la televisione di stato, altrimenti detta la televisione di Bernabei, dal nome del direttore generale. Una televisione che era così, semplicemente: all’avanguardia e mai banale, amante dei grandi romanzi storici e di appendice. Oggi non lo neghiamo affatto, se siamo riusciti ad amare romanzi importanti come I promessi sposi, Guerra e pace, I fratelli Karamazov, Il mulino del Po, Anna Karenina, L’Eneide lo dobbiamo certamente a quella televisione che ce li ha fatti fruire in modo divertito e quasi ludico e non, piuttosto, alle scuole frequentate.

Colpire al cuore

Negli anni Gianni Amelio ha poi collezionato riconoscimenti in tutto il mondo con titoli come Colpire al cuore, Porte aperte, Il ladro di bambini, Lamerica, Le chiavi di casa, La stella che non c’è, Così ridevano. Oggi la tematica di Amelio pare davvero fare i conti, sempre di più, con la nostalgia per quella Italia che non esiste più, soprattutto nella spontaneità, nel coraggio, nel gusto, nella curiosità. Ma questa è un po’ la poetica attuale nel suo cinema di finzione e nei suoi ultimi due documentari, Felice chi è diverso Registro di classe: Libro secondo. Per questo motivo ci siamo soffermati anche a lungo chiedendo soprattutto della sua esperienza di aiuto regista, perché spesso i suoi discorsi sul cinema, raccontati nel corso degli ultimi anni, sempre in quei tempi sono tornati a parare. I suoi ultimi film di finzione, infatti,  pensiamo in questo momento a L’intrepido (2014), ma anche a Il primo uomo (2011), rasentano questi effettivi resoconti nostalgici.  Addirittura ne L’intrepido c’è già il titolo che richiama il passato, precisamente quel fumetto di avventure popolarissimo negli anni in cui, guarda caso, Gianni Amelio era un bambino. Già in questo contesto troviamo tutta la verità del film. Il primo uomo poi è, secondo noi, un film davvero speciale,  l’opera che attraverso le memoria di Albert Camus racconta in fondo la biografia del regista. Una biografia certamente parziale, perché è nel film del prossimo futuro che Amelio vuole raccontare, come ci ha detto, le basi della sua identità, in un film che sarà l’inseguimento delle tracce lasciate dal papà nella sua emigrazione in Argentina. È un film, questo del prossimo futuro, che Amelio ha in mente da molti anni, e che comunque da molti anni ancora non riesce a realizzare. È un rinvio continuo, come ci ha detto, ma appare anche convinto che arriverà presto il giorno in cui potrà finalmente fermarlo sulla macchina da presa e condividerlo.

Giovanni Berardi



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