L’Africa non esiste è un originale “diario di viaggio”, come lo ha definito il noto scrittore di gialli, ma anche redattore del blog Nazione Indiana e autore di saggi su Pasolini e Proust. Racconta dei viaggi in Africa intrapresi da Gianni Biondillo al seguito di varie ONG. Cinque capitoli sono dedicati a ciascuno dei Paesi visitati: Ciad, Etiopia, Eritrea, Egitto e Uganda; ne seguono altri due che raccontano viaggi immaginari nel deserto del Sahara e nel cuore del Mali. Senza adottare lo sguardo del giornalista che va alla ricerca di notizie né quello dello scrittore che cerca cenacoli intellettuali o autori autoctoni da conoscere, l’autore si è immerso nella realtà africana dopo essersi promesso quanto segue: «Non ti permettere di piangere. Non ne hai il diritto. Ridi». E credo abbia mantenuto la parola, anche grazie al suo approccio aperto, attento e curioso, ricco di umanità e sensibilità, di autoironia e di disponibilità alla messa in discussione dei propri riferimenti.
Nel corso dei suoi viaggi Gianni Biondillo ha sicuramente tenuto bene aperti i suoi occhi di architetto (professione ufficiale del nostro). In Africa ha ammirato gli edifici in perfetto stile sabaudo risalenti alla colonizzazione italiana di fine ‘800 ed è rimasto ammirato da quella “piccola Italia” che è Asmara, una vera «palestra di sperimentazione formale» a differenza della Roma fascista in cui si è imposto l’eroicizzante monumentalismo di marchio mussoliniano. Così accade che nella capitale eritrea si possano mangiare babà o bere gingerini al Caffè Roma, ma anche vedere «l’unico vero edificio futurista del mondo», la Fiat Tagliero. Ma parlare di architettura significa parlare di storia e di cultura. E raccontare l'Italia in Africa significa confrontarsi col nostro passato coloniale di «italiani bipolari», invasori aggressivi provenienti da un Paese poverissimo e ultimo arrivato nella sua «ricerca di un’America in Africa». Biondillo riesce a narracelo benissimo per squarci e fotogrammi dinamici e vivaci, rimanendo ben lontano da ogni retorica e regalandoci uno sguardo fresco che ha il sapore della scoperta.
Gli interessi culturali e professionali non sono lasciati a casa dunque. Gianni Biondillo porta con sé tutta la sua identità di intellettuale europeo bianco, e senza alcun senso di colpa. Il che non è tra gli ultimi motivi di interesse del libro, in cui non c'è traccia di idealismo o esotismo o proclami retorici. Quello di Biondillo è il viaggio che ognuno di noi potrebbe fare se partisse dopo essersi liberato degli occhiali deformanti che trasformano l'Africa nello stereotipo diffuso da troppi media, esclusa certa editoria indipendente soprattutto del web, di cui molti però non conoscono l'esistenza. Quello stereotipo è l'Africa che non esiste.
Lo sguardo di Biondillo è anche quello dell’uomo che vuole vedere coi propri occhi il continente africano e conoscere le persone che lo abitano.I suoi "diari" non indulgono al patetismo né, tanto meno, al paternalismo. Lo scrittore si guarda intorno attento, sensibile, sempre autoironico, e ironico quando serve. Di quell’autoironia che serve a ridicolizzare sé stesso, individuo paradigmatico dell’europeo con tutti i suoi pregiudizi e le sue paure (prima tra tutte quella di beccarsi tutte le malattie del mondo), e di quell’ironia che permette di raccontare un continente pieno di contraddizioni, ricco di vitalità ma anche di tragedie a cui avvicinarsi con riserbo e rispetto.«Tarzan ci ha fregato», sostiene lo scrittore. Quell’idea di primitivo che noi associamo al continente africano è un luogo comune. L’Africa presente nel nostro immaginario di eurocentrici non esiste. Se si pensa all’Africa, non scatta immediato, nella maggior parte di noi italiani ed europei, il richiamo alla preistoria oppure ai bambini affamati per cui piangere e mandare due euro con un sms? Ma l’Africa è il continente «fuori scala» che i luoghi comuni ci restituiscono immobile e falsato. Sarebbe come pensare, ha detto Biondillo, di accomunare un lappone a un siciliano o un portoghese a un cinese. O un tunisino a un sudafricano. E a parte questo, «l’Africa non esiste; esistono le persone».
E per le persone che sono nate e vivono in Africa «il buonismo è una malattia». E si entra così nel crogiolo-kermesse dei cosiddetti aiuti umanitari. Biondillo ci ha raccontato il suo incontro con un medico ugandese. All’ospedale in cui lavora è stato donato un macchinario all’avanguardia. Il dottore lo mostra quasi dispiaciuto allo scrittore, che rimane stupito dell'assenza di entusiamo del dottore. È che quel macchinario, acquistato grazie a una raccolta fondi in provincia di Bergamo, non serve nell’ospedale ugandese. Servono altre cose, ha spiegato il medico: ad esempio semplici viti per un’ordinaria manutenzione. C’è poi il mondo delle multinazionali della cooperazione o degli alti commissari ONU, che fanno festa in alberghi con piscina e viaggiano su strade in gran parte non asfaltate nelle loro lussuose autovetture, sempre bianchissime grazie ai piccoli africani che scattano a lucidarle. Gli interventi umanitari non sono troppo spesso un «lavacro delle coscienze» o un lucrosissimo business? Il 90% del denaro raccolto dalle grandi ONG rimane nelle loro tasche. La speranza sta nelle piccole organizzazioni, che il 90% lo lasciano sul territorio. Ma, dice Biondillo, ci sarebbe una terza via d'intervento, e sarebbe paritaria: fare affari guardandosi negli occhi, con reciproco rispetto. Del resto forse non molti hanno notato che per la prima volta più di 40 nazioni africane saranno presenti all’Expo milanese. L’Africa è un continente dinamico e conviene all’Europa, ha sottolineato lo scrittore. Per ragioni demografiche e non solo. La Cina lo ha già capito: si è accaparrata il petrolio del Ciad, dove ha costruito strade e introdotto l’elettricità installando pannelli fotovoltaici.
L’Africa non esiste non fa solo riflettere. Racconta storie e incontri emozionanti che ci portano tra l'entusiasmo dei volontari e tra le violenze inflitte ai bambini soldato ugandesi come Geoffrey e alla sua sposa bambina Nighty. Si incontrano tante persone nel libro di Biondillo, tante realtà diverse, società in movimento, cariche di passato ma anche protese verso il futuro.
E pensare che tutto è nato da un caso. Biondillo non aveva il sogno di viaggiare nel continente che per molti è da salvare. Nel 2009 accadde che un giornalista rifiutò di svolgere un servizio in Eritrea quando scoprì che Asmara si trovava su un altopiano a 2 300 metri di altezza. Così la rivista per cui sarebbe dovuto partire andò alla ricerca di un sostituto. Trovò la disponibilità nell'autore di gialli che si era bloccato scrivendo un romanzo, perché gli serviva un «passaggio africano». E il nostro autore vuole conoscere gli ambienti fisici e umani che racconta prima di scriverne. Questione di non voler avere pregiudizi, di cui si intende, essendo nato a Quarto Oggiaro, paradigma dell’inferno in terra, per chi non ci è nato e vissuto. Così Biondillo parte. E riesce poi a finire il suo romanzo. Senza i suoi viaggi in Africa non sarebbe nato I materiali del killer (Guanda, 2011), che avrebbe vinto il Premio Scerbanenco 2011.
L’Africa ha dunque regalato a Gianni Biondillo un romanzo, paesaggi e incontri che valeva la pena e che doveva raccontare, una consapevolezza forte che ha voluto condividere con noi. «Ora so che dell’Africa non sapevo niente, e che ora ne so anche meno». Ogni suo viaggio in Africa non ha fatto che distruggere qualcuno dei pregiudizi radicati anche in lui che, forse, pensava di non averne. Se voi appartenete alla categoria di chi si crede esente da preconcetti, potrebbe farvi bene ascoltare questo aneddoto raccontato da Biondillo. Un giorno sua figlia Laura gli disse che Michela l’aveva fatta davvero arrabbiare. "Chi è Michela?", chiede il babbo. "Quella che è alta più o meno come me." Il papà non si ritrova. "Quella con gli occhiali." Niente. "Quella con i capelli ricci lunghi fino a qui." Il vuoto. Finché la piccola dice: “Quella che ha il colore della pelle un po’ marrone”. La luce si accende. Del resto i pregiudizi sono ubiqui, fisiologici e reciproci. In ismaili noi siamo chiamati “muzungu”, di solito tradotto con “uomo bianco”. In realtà significa “strampalato, curioso”. In Kenya si può sentir dire, con tono spregiativo: “Quello lì è un congolese”. Di fronte allo sguardo incredulo di un europeo, la clausola chiarificatrice è: “Ma non vedi che è più nero?”. Curiosa è la storia che circola a proposito dei somali cristiani che vivono nel Sud dell’Etiopia musulmana. A Addis Abeba si racconta che Dio creò le industriose api, ma anche le mosche per disturbare il loro mondo ordinato e produttivo. Per gli etiopi, che mosche sono quei somali!
Ciò non toglie che l'idea dell’Africa smerciata in Occidente non esista. Noi italiani ed europei, per Biondillo, come per la sottoscritta, abbiamo «il diritto-dovere di guardare finalmente all’Africa come a un vicino di casa, anche dal punto di vista culturale»; di toglierci di dosso i pregiudizi che pensiamo di non avere; di finirla di ritenerci superiori, ché superiori ci consideriamo troppo spesso, anche quando ci sentiamo gonfi di compassione per i “poveri” abitanti di quel continente “dilianato da carestie e guerre civili”
Gianni Biondillo ci porta nell'Africa che esiste. Quella in cui bambine come Nighty vengono rapite, mentre nell'Eritrea che impone il servizio militare a vita si proietta X-Factor. Se volete iniziare a conoscere qualcosa di quel continente senza lenti di qualsivoglia colore, divertendovi ma pronti a vedere sgretolarsi le vostre convinzioni e pre-conoscenze, L'Africa non esiste è un ottimo inizio.