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Gianni Caridi e Papa Nanu

Creato il 31 maggio 2011 da Cultura Salentina
Gianni Caridi e  Papa Nanu

© Pasquale Urso: La processione del santo (Incisione)

Mi dolevo di una popolazione incivile e a-religiosa, tanto da potervi riscontrare il non est qui faciat bonum non este usque ad unum, e misteriosamente sentivo in me il fremito dell’apostolato nell’uno e nell’altro campo. Se sarò sacerdote, creerò case di educazione per la civiltà e un tempio per la religione“. Sono parole del Canonico Sebastiano Natali, una delle figure più difficili e controverse della recente storia di Gallipoli, il prete ribelle, il prete coraggio, che sfidò Achille Starace, il potente segretario del partito fascista, e numerosi vescovi, ma anche il prete anomalo, il prete discusso, molto chiacchierato per il suo comportamento talora più laico che religioso, per le sue intromissioni politiche-amministrative, per le sue prese di posizioni forti, per le sue frequentazioni fuori dagli schemi.

Visto sotto alcuni aspetti è stato l’uomo che seppe osare, colui che percorse i sentieri rischiosi e un po’ folli dell’utopia, e cioè costruire case e chiese, templi e centri per la raccolta dei giovani, partendo da zero, rimboccandosi le maniche nere della veste talare, neanche fosse un imprenditore edile, un capomastro, un architetto, un geometra che ha la visione completa dei bisogni e delle necessità della sua città povera malandata immiserita piena di luridume e di fame, priva di qualsiasi iniziativa.

Ma visto sotto altri aspetti, fu anche un avventuriero, un uomo ostinato, facinoroso, violento, privo di scrupoli, che non si fermò davanti a nulla e nessuno, autorità religiose comprese. Un uomo che infranse leggi e regolamenti, pur di raggiungere le mete che si era prefisso. A qualunque costo. E con ogni mezzo. Anche a prezzo di rovinose polemiche, sofferenze, traversie, violazioni, insubordinazioni, ostracismi, accuse brucianti e infamanti, ivi comprese processi civili e sospensioni a divinis, a cui han fatto seguito dolorosi esilii, umiliazioni, fino all’oblio da cui l’ha tirato fuori Gianni Caridi, il Vasari di Gallipoli, con il libro “Sebastiano Natali. Il prete che sfidò tre vescovi e Achille Starace“.

Questo prete – che era riuscito “a piantare una Croce e gettare semenza nel cuore della gente”, e che ha legato inscindibilmente, indissolubilmente la propria storia a quella del nuovo borgo di Gallipoli, ora rivive appunto nelle pagine del libro biografico di Gianni Caridi, che non è assolutamente nuovo a tale tipo di operazioni (vds. “Luigi Sansò, il Sindaco poeta” e “Gallipoli , un secolo di memorie”, in cui vengono ritratti quindici personaggi contemporanei – alcuni ancora viventi – che hanno partecipato attivamente alle ultime vicende storiche di Gallipoli.
Qui si racconta – scrive Gino Schirosi nella sua dotta prefazione – della tonnara del Pizzo, di piazza Candia, dell’Istituto Bianchi, dell’Istituto dei Salesiani, del Villaggio del fanciullo, delle chiese del Canneto, del Sacro Cuore, di San Lazzaro e dell’attuale parco Falcone Borsellino – capitoli oscuri di storia locale che hanno visto compromesso, direttamente e in misura irreparabile, lo sfortunato canonico”.

Il giudizio di Schirosi sull’opera del “prete con le palle”, come qualcuno lo ha ribattezzato recentemente , è netto e chiaro: decisamente negativo, e probabilmente non è il solo, a Gallipoli e nel Salento. Mentre l’autore, pur non esprimendo il proprio giudizio sui fatti accaduti, da lui documentati, o suffragati da testimonianze con fondamento di assoluta validità storicistica (è forse questa la sua opera più intensa, faticosa e sofferta di biografo dei contemporanei gallipolini), non può esimersi dal manifestare – a tratti – una sviscerata ammirazione per il suo personaggio, il suo eroe.

Tutto ciò non esplicitamente, ma nel sottofondo del testo, che è tutto intessuto di atti e azioni, lettere, invettive, accuse, verità e menzogne da rimandare al giudizio dei posteri. Secondo me Gianni Caridi ha fatto bene a non fare un falò delle carte e distruggere così anche il ricordo di Sebastiano Natali, come qualcuno (pare) , gli avrebbe consigliato, perché il personaggio merita tutta la nostra attenzione e il nostro interesse, soprattutto in un momento storico come quello che stiamo vivendo in cui scarseggiano del tutto, – non solo a Gallipoli, ma nella Nazione,- uomini decisi, dal forte carattere e personalità, come era certamente don Sebastiano Natali.

Oggi che non abbiamo uomini di ferro, e neppure di ottone, ma mortadelle o mozzarelle, recuperare questa figura obliata, questa figura sanguigna, passionale, determinata, decisa (sia nel bene che nel male) della recente storia di Gallipoli, è stato un atto coraggioso da parte di Caridi, anche a rischio di essere rifiutato dalla stessa storia in cui l’autore l’ha voluto a forza inserire, storia che non è magistra di niente, come dice Montale – storia che magari potrebbe risbatterlo definitivamente fuori della porta. Ma io credo che uno come Sebastiano Natali, il prete che da solo realizzò mezzo borgo di Gallipoli suscitando un mare di polemiche, ma facendo anche opere di bene (la scuola gratuita per i giovani analfabeti di Gallipoli, a esempio), nella storia ci sarebbe entrato comunque, a viva forza, perché fa parte dell’immaginario collettivo, Caridi gli ha solo aperto la porta rovistando nella sua coscienza, oltrechè nelle sue memorie lucide, vive e scottanti.

Un personaggio, insomma, che non può lasciare indifferente nessuno di noi, soprattutto chi l’abbia conosciuto in vita. Ora il prete delle polemiche, delle ambiguità, ma anche il prete delle grandi sfide, una pietra bruciante della storia di Gallipoli scagliata contro tutti noi “posteri” nel cielo terso della città bella, sul lungomare di scirocco, nella ex zona “Arene”, da lui bonificata e risanata e dove fece nascere l’Istituto dei Salesiani, ora smantellato.

Il tempo è un grande scultore, diceva la grande scrittrice Marguerite Yourcenar, il tempo usura e rimodella, sa maneggiare con maestria il calice e la rosa, le campane e il silenzio, la cenere e il fuoco, il cielo e il precipizio, il volo e l’abisso. Il tempo ci dirà se l’immagine in bilico di Sebastiano Natali verrà modellata in un senso positivo, o nell’altro. Comunque, se vi capita di andare a passeggiare nel tratto compreso tra il parco Falcone-Borsellino e la Chiesa del Buon Pastore, insieme alle tamerici “salmastre e arse” e alle barriere di pittosfori, date un’occhiata alle sculture che fabbrica il tempo, insieme all’erosione del mare e dei venti, chissà forse troverete la scultura invisibile di Sebastiano Natali, quella che si trova nascosta all’interno delle righe del libro di Gianni Caridi, quella che fa una musichetta strana che è personale e intima. Quella scultura è fatta d’aria, ma anche di musica, di respiri e di battito del cuore. Lo potrete ascoltare nel preciso momento in cui il vecchio appiccicoso scirocco diverrà una brezza leggera e avrà lo stesso ritmo e la stessa scansione del vostro soffio/respiro.
Per finire va detto che è un libro che Gianni Caridi aveva in serbo di scrivere da oltre vent’anni, ma ha avuto la pazienza di far depositare, sedimentare nella sua sentina spirituale, tutto il materiale storico e sentimentale (lui ha conosciuto personalmente e ha collaborato con don Sebastiano), che aveva accumulato affinchè venisse decantato, purificato dalle scorie che ognuno di noi si porta con sé. Doveva dare una forma, un senso, una struttura, un’architettura a quei ricordi sparsi, a quei momenti, a quei frammenti, ma anche a quelle stagioni vissute fianco a fianco con don Sebastiano, alle luce e all’ombre, alla spada che spesso impugnava e alle rose di maggio che coltivava nel suo cuore, alle collere e alle esaltazioni, alle ferite e all’orgoglio, alle speranze e alle preghiere, alle sofferenze, ai sudori, alle rabbie raffrenate e non, ai timori, agli sconforti, alle amarezze. Ora tutto ciò rivive in questo libro.

Una galleria di flash arricchiti di lettere, impressioni, annotazioni dello stesso personaggio, un vasto materiale documentale sicuramente interessante e illuminante. Il resto è venuto in modo consequenziale, come in un film: gli scenari, i campi lunghi, le zoomate, la scelta dei tempi, le modalità, le azioni sceniche e lo svolgersi delle varie vicende e tutti i diversi e travagliati momenti di lotta e di sfida che hanno contrassegnato la vita del Nostro, un prete scomodo, che cerca l’autoaffermazione con tutta la volontà, la passione, il vigore fisico e spirituale, ma anche – forse – con l’incertezza, l’angoscia e i dubbi di un uomo moderno, un uomo dei nostri tempi.


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