Sull'ultimo numero di LETTERATURA E DIALETTI, Gianni Oliva recensisce il mio COMPITU RE VIVI.
Onorato. Lo ringrazio moltissimo.
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Sebastiano Aglieco, Compitu re vivi, Rovigo, Il Ponte del Sale, 2013, pp. 136.
A questo volumetto è andato il Premio "Salvo Basso" 2014 di Scordia, giunto alla dodicesima edizione.
Aglieco dunque scrive il suo nome nella prestigiosa lista dei vincitori del prestigioso riconoscimento siciliano che nel passato ha visto avvicendarsi quelli di Franco Loi, Ida Vallerugo, Franca Grisoni, Francesco Granatiero, Giuseppe Rosato, Nino De Vita e di tanti altri. Il libro è pubblicato presso una casa editrice che gia dalla sua denominazione (Il Ponte del Sale, "Associazione per la Poesia") si pone come una coraggiosa forma di resistenza contro le dispute politico-economiche dei nostri giorni e il binomio produzione-consumo che sembra essersi appropriato ormai delle ragioni dell'esistenza dell'intero pianeta. Una vecchia storia che, a poco a poco, ha fatto dimenticare l'uomo, la persona e la sua dignità, il suo rapporto autentico con le cose e con l'interiorità più profonda. L'adesione alla poesia invece permette di risvegliare la coscienza morale che sembra aver lasciato il passo all'arroganza, alla prepotenza, alla mancanza di rispetto, ai toni alti e pretenziosi, alla presunzione di poter dire e fare ciò che si vuole senza misura.
La poesia di Aglieco ci insegna a riscattare il male attraverso la bellezza, quasi in un discorso salvifico e penitenziale; ci sprona a custodire le cose, compresa quella lingua "che piu non si sa" (Pascoli), quel dialetto depositato e nascosto nelle più intime fibre dell'essere e riscoperto, riutilizzato come residuo d'infanzia, strumento attraverso cui descrivere il mondo. Torna, dunque, sulla scena il piccolo essere in cui credeva Cebes Tebano, "che non solo ha brividi... ma lagrime ancora e tripudi suoi".
Utilizzando una fitta trama simbolica e un'antica ritualità mediterranea fatta di tragedia e di mistero, Aglieco ci ricorda di non dimenticare l'infanzia, lo stupore davanti alle cose, la sorpresa di guardare e di saper "ritrovare" con "occhi nnucenti" i frammenti della vita, da quelli apparentemente più inutili, ai grandi temi che ci attanagliano. Tutta la nostra vita è costellata di discese ardite e di risalite in un percorso che va dagli Inferi alla Grazia, anche a rischio di esporsi alla denigrazione e all'offesa (sapendo però che ciò che conta non sono le offese ma il marcio che e in noi).
Nell'uso del dialetto si nota una fitta trama di tessitura linguistica, un'alternanza di suoni scuri e di suoni chiari, a dimostrazione che la poesia non è solo ispirazione che viene dall'alto ma lavoro di telaio, fatica di comporre un tessuto, magari umile o solenne non importa, risultato di una meditazione che come fine ultimo abbia, come si diceva, il trionfo della bellezza, seguendo il monito a non aver paura delle contestazioni e delle rappresaglie. Il rapporto maestro-alunno (si ricordi che l'autore è un maestro elementare) è fondato sull'amore e sulla percezione di un'innocenza da tramandare, da difendere con la parola e la preghiera, nella convinzione che le parole non cambiano il mondo ma aiutano a migliorarlo.
Credo che sia tutto qui il compito dei vivi (da qui il titolo del libro).
In questo volumetto di Aglieco la neo-dialettalità (cioe l'uso del dialetto come strumento espressivo verticale e trasversale) raggiunge una delle sue forme più alte.
Gianni Oliva