Giannini: ci vuole un piano decennale

Creato il 18 marzo 2014 da Media Inaf

Un Piano decennale della ricerca per rilanciarla e non farne più la Cenerentola che è da decenni. È quanto auspicato dal dal ministro per l’Istruzione, l’Università e la Ricerca, Stefania Giannini, in occasione della presentazione del Rapporto sullo stato del sistema universitario e della ricerca presentato a Roma dall’Agenzia per la valutazione del sistema universitario e della ricerca, Anvur.

“La ricerca – ha detto il ministro Giannini – è un capitolo che ha avuto un protagonismo da Cenerentola, recuperato quasi sempre in dibattiti politici ma poi mai tradotto in azioni concrete”. “Quello che auspico – ha continuato il ministro – e che chiederò al Consiglio dei ministri e al presidente del Consiglio è che, come si parla ormai di un piano decennale industriale in Italia, ci sia coraggio di pensare a un piano decennale della ricerca”. Per la Giannini “solo con una visione a lungo termine potremo capire se davvero funzioni il sistema attuale”.

L’auspicio del ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca è arrivato dopo l’illustrazione di un quadro tutt’altro che edificante, come ha sottolineato il capo dello Stato in un messaggio che ha aperto i lavori. Giorgio Napolitano si è detto infatti preoccupato per le scarse risorse destinate dall’Italia per la ricerca e l’università e in particolare del divario sempre crescente tra il Nord e il Sud del Paese: “si conferma purtroppo la persistenza di difficoltà strutturali nel settore dell’istruzione superiore e della ricerca individuabili, in primo luogo, in un insoddisfacente livello complessivo della produttività del sistema – pur in presenza di innegabili punte di eccellenza – e nella permanenza di un sensibile divario territoriale a sfavore del Mezzogiorno”.

Nel suo messaggio, il Capo dello Stato rileva inoltre una “ulteriore preoccupazione” che “emerge dai dati relativi alle risorse destinate all’Università e alla Ricerca, che si attestano su valori considerevolmente inferiori alle medie europee e dei Paesi Ocse, a fronte di una qualità dei risultati che è segno di potenzialità da sostenere e valorizzare”.

Sarebbero, infatti, necessari tre miliardi per portare la ricerca italiana agli stessi livelli di quella europea. I tre miliardi sono necessari per colmare il divario che separa il finanziamento italiano per la ricerca, pari allo 0,52% del Pil, dalla media dei Paesi Ocse (0,7%).

Inoltre dal 2009 il finanziamento complessivo del Ministero dell’Istruzione al sistema universitario si è ridotto di circa un miliardo di euro (-13% in termini nominali, -20% in termini reali). La “riduzione delle risorse è stata resa sostenibile dalla riduzione del personale, soprattutto dei docenti ordinari, e dal blocco delle progressioni di stipendi”. Tra il 2014 e il 2018, osserva l’agenzia, si ritireranno oltre 9.000 docenti di ruolo, il 17% del totale: “Per garantire il funzionamento degli atenei (didattica, ricerca e governo) sarà quindi fondamentale immettere un numero elevato di docenti (circa 1.800 all’anno) nei ruoli di associato e di ordinario”. In Italia la spesa in istruzione terziaria, in rapporto al numero degli studenti, è inferiore a quella media dei paesi Ocse (-30%). Le entrate complessive delle università sono tornate ai livelli del 2004. Tra il 2009 e il 2012 le entrate per docente nel Mezzogiorno sono state del 15% inferiori rispetto a quelle del Nord. “La differenza è dovuta ai livelli delle tasse d’iscrizione: al Sud il contributo medio per studente è pari a circa il 50% rispetto a quello medio del Nord”.

Un dato positivo c’è: negli ultimi anni è cresciuto il numero dei laureati in Italia. Tra il 1993 e il 2012, infatti, la quota dei laureati sulla popolazione in età da lavoro è salita dal 5,5% al 12,7% e tra i giovani in età compresa tra i 25 e i 34 anni si è passati dal 7,1 al 22,3%. “Come negli altri paesi – si legge nel Rapporto – anche in Italia l’istruzione universitaria rinuncia quindi al carattere elitario per diventare di massa”. Nonostante l’incremento comunque il tasso di laureati in Italia resta ben al di sotto della media europea. Secondo l’ANVUR il ritardo italiano nei tassi di laurea dei più giovani “dipende in gran parte da un basso tasso d’iscrizioni tra i giovani sopra i 25 anni (che forse sono già occupati) e dalla difficoltà a laurearsi (quasi il 40% tra quanti s’iscrivono a un corso di laurea triennale non conclude gli studi)”. “Una differenza importante con gli altri Paesi è dovuta alla mancanza in Italia di un’offerta di corsi universitari a carattere professionalizzante che nella media europea pesa circa il 25% sul totale dei laureati”.

Fonte: Media INAF | Scritto da Davide Coero Borga e Marco Galliani


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