La Rete è un utilissimo strumento di propagazione libera di idee. Sebbene vi siano oligopoli mondiali che usano le informazioni personali a scopo commerciale o di orwellismo governativo, la circolazione non è controllabile, è a bassissimo costo ed è facile da usare. Per questo motivo oggi è insostituibile per una forza politica che combatta l’omologazione di pensiero e l’establishment dei partiti e dei loro burattinai industrial-finanziari. E’ un’arma di cui non si può fare a meno, le cui potenzialità Casaleggio ha compreso meglio di chiunque altro in Italia.
Il punto di forza della tecnologia informatica sta nella disintermediazione: il rapporto fra utenti non ha mediazioni, è diretto. Di qui la coincidenza, almeno come obbiettivo finale, fra democrazia digitale e democrazia diretta. E qui alla Voce del Ribelle ben sappiamo come la democrazia diretta corrisponda all’unico vero sistema istituzionale che possa fregiarsi del nome di democrazia. Casaleggio elenca con precisione le radicali riforme coerenti con tale impostazione: il referendum propositivo senza quorum, l’obbligatorietà della discussione parlamentare delle leggi di iniziativa popolare, l’elezione diretta del candidato che deve essere residente nel collegio dove si presenta, l’abolizione del voto segreto, l’introduzione del vincolo di mandato. Vediamole una per una. L’assenza di un quorum è il cuore del meccanismo referendario portato alle sue estreme conseguenze: decide chi partecipa, punto. L’obbligo di prendere in esame le proposte legislative di iniziativa popolare implica che un livello rappresentativo sussista, il che è realisticamente saggio e inevitabile, ma attribuendogli un ruolo comunque dipendente dalla sovranità primaria, dal basso. Il legame anch’esso obbligatorio fra candidati e territorio va nell’eccellente direzione di rendere gli eletti un’espressione reale di una realtà sociale circoscritta, senza pagare dazio alle alchimie nazionali (e se unito al limite dei mandati, si esclude il pericolo del notabilato). Abolire il voto segreto è un ritorno all’antico: nell’assemblea ateniese si votava per alzata di mano, allo scrutinio segreto si ricorreva solo in situazioni-limite (come l’ostracismo per i cittadini indesiderati). La reintroduzione del vincolo di mandato di medievale memoria è antimodernismo allo stato puro, il che da queste parti equivale a un complimento: l’eletto è un semplice tramite fra basso e alto, ha un mandato definito e se da questo sgarra va a casa immediatamente.
Notazione non secondaria che va sottolineata positivamente è che Casaleggio, a proposito del tanto citato video futuristico Gaia, parli di un gioco. Se ci ponete mente, è tipico di chi passa parecchio tempo nel mondo virtuale – con effetti molto reali, però, e anche qui il guru ha ragione – il pensare per videogames, con un’attitudine ludica, un po’ adolescenziale, a creare mondi futuri, paralleli o immaginifici. Spesso e volentieri apocalittici, per sfogare l’angoscia da immobilità psicomotoria e immobilismo civile che stare seduti davanti al computer comporta. Casaleggio è un Theodore Kaczinski pacifico e senza la wilderness del solitario anarcoide, ma un uomo della sua intelligenza non può credere sul serio che il 14 agosto 2054 si instaurerà il governo mondiale dell’internet-crazia. E infatti non ci crede.
Ma d’altra pare crede, ahi lui, che in un avvenire non lontano Rete e realtà si fonderanno. Internet diventerà come l’aria, sostiene citando quel profeta maniaco di Negroponte. Uno varrà uno, non ci saranno leader (e Grillo cos’è?), l’era della conoscenza passerà dal web. Posso dirlo? Stronzate. Questa mitizzazione idolatrica di un mezzo fa perdere di vista il fine: il benessere esistenziale dell’uomo in carne e ossa. Mi rifiuto di pensare che una persona che affida il suo sapere e il suo potere di cittadino ad una macchina sia più libero e vitale di un contadino premoderno che si autogovernava nel villaggio o di un cittadino ateniese che partecipava all’agorà. Perché non è la quantità di informazioni assorbite (davvero assorbite, o solo orecchiate bulimicamente?) né tanto meno la staticità ingrassante e impigrente della postazione pc a garantire una maggiore libertà, ma la possibilità concreta di decidere ciò che condiziona la propria vita qui e ora nel luogo e nel tempo in cui si vive. La democrazia digitale sul lungo periodo è alienante, perché solo l’esperienza diretta e vissuta con tutti e cinque i sensi è realmente umana, completa, soddisfacente. La piazza virtuale deve prima o poi tornare piazza reale, o si sarà passati da una schiavitù ad un’altra. La tecnica è importante quanto i contenuti: il mezzo è il messaggio, insegna il fondamentale adagio mcluhaniano. Perciò mi auguro che un giorno salti fuori un altro Grillo che imiti il Grillo delle origini e torni a spaccare con un martello queste benedette-maledette scatole elettroniche.
Alessio Mannino