Prima di iniziare voglio dire subito che questa intervista ha una particolarità che potrebbe turbare qualche lettore (spero non troppo!): una doppia data di nascita. La prima, quella offline (nel “mondo reale”), risale a un caldo pomeriggio estivo; la seconda, quella online (che vi riguarda più da vicino), è una tiepida serata autunnale.
Un caso di preoccupante jet lag redazionale? No, tranquilli! Si è trattato di un cambio climatico piuttosto proficuo e spero che sarete d’accordo con me al termine della lettura. Per ora dico soltanto che ha a che fare con un sogno, un paio di ali e un’idea di avventura che piace molto all’ospite “made in culture” di questa intervista: Gianvito Casadonte.
Gianvito Casadonte, classe 1977, arriva a Roma da Montepaone, un piccolo paese della costa ionica calabrese, con una grande passione per il cinema e tanta voglia di sfondare. Si laurea in arti e scienze dello spettacolo, inizia a lavorare (tra le tante altre cose) come assistente alla regia di Riccardo Milani ed entra a far parte della famiglia di Rai 1, nel ruolo di esperto di cinema.
Dal 2004 è direttore artistico del Magna Graecia Film Festival, una manifestazione da lui ideata e arrivata alla decima edizione. Segni particolari? Li scopriremo insieme….
Dieci anni di Magna Graecia Film Festival: cosa ti ha dato in più questa nuova edizione?
L’ultima è sempre la più bella, anche se ogni edizione ha la sua storia e la sua progettualità. Costruire un festival è sempre un’esperienza emozionante. Quando sono partito nel 2004 ero da solo, adesso ci sono tanti amici che mi vengono a trovare, a sostenere, che apprezzano il lavoro fatto in questi anni.
Ed essere riusciti a organizzare questa decima edizione proprio a Catanzaro, in un ambiente accogliente che ci ha permesso di raggiungere in dieci giorni di manifestazione 50mila spettatori, è stato doppiamente emozionante. Diciamo che, oltre a “mamma Roma”, adesso ho anche una “mamma Catanzaro”.
Il Festival nasce per sostenere il giovane cinema italiano. Quali sono i tre interventi che ritieni fondamentali per il futuro di questa industria culturale?
Innanzitutto c’è bisogno di una migliore distribuzione. In Calabria, per esempio, è il Magna Graecia Film Festival a portare opere che altrimenti non arriverebbero. Poi c’è bisogno di registi che non raccontino solo se stessi, ma il Paese. L’autore deve raccontare ciò che lo circonda, proprio come hanno fatto i nostri grandi maestri del Neorealismo, grazie ai quali il cinema italiano è conosciuto in tutto il mondo.
E’ il momento di dire basta all’eccesso di autoreferenzialità, un difetto fin troppo diffuso in Italia e tornare a raccontare il mondo che ci circonda. Pasolini diceva che bisognava raccontare la realtà con la realtà. E le occasioni in questo senso non mancano.Nel 2007, ho prodotto “Tredici”, il documentario di Giuseppe Petitto, giovane regista calabrese, dedicato alla tragedia del camping Le Giare di Soverato e alle sue tredici vittime. E poi penso al dramma di Rosarno, a quello che ha coinvolto i dipendenti di Phonomedia. Tante storie che aspettano di essere raccontate.
Terzo intervento: creare quello che non c’è, lo star sistem. Che vuol dire soprattutto permettere al cinema di continuare a essere un’esperienza diffusa, di coesione e condivisione sociale. L’idea che in futuro si andrà al cinema solo per assistere ai grandi eventi, come sostengono Steven Spielberg e George Lucas, la considero un disastro.
Come si organizza un festival di cinema in un periodo di crisi e soprattutto in una realtà non facile come quella calabrese?
E’ un lavoro intenso, che richiede molto impegno. Il cinema non è intrattenimento e non basta proiettare un film per fare un festival. Organizzare una manifestazione come il Magna Graecia Film Festival è un’operazione mediatica che si deve costruire giorno dopo giorno.
E che ha dei costi. Come costruisci il tuo rapporto con i sostenitori pubblici e gli sponsor privati?
La parte di finanziamento pubblico che raccolgo è minima rispetto al totale dei contributi. La maggior parte dei sostenitori del festival sono privati e con tutti loro ho instaurato un rapporto diretto.Si tratta di imprenditori a cui, fin dall’inizio, faccio capire quanto sia fondamentale il loro contributo per sostenere un’operazione culturale altrimenti non realizzabile. Un’operazione che nasce per e nel territorio in cui risiedono e lavorano.
Metto in evidenza la funzione sociale di un’operazione del genere e lo ricordo ogni sera anche al pubblico. Le aziende lo apprezzano perché è un nuovo modo di comunicare.
Che tipi sono questi imprenditori?
In dieci anni ho incontrato di tutto: l’imprenditore sensibile che si è appassionato al progetto, quello che ha intuito l’opportunità economica dell’iniziativa e si è messo a disposizione, quello che ha dovuto rinunciato per problemi economici e che ho continuato comunque a coinvolgere. Con tutti il dialogo è stato chiaro e ha dato risultati importanti.
Capisco benissimo le esigenze e le difficoltà di un imprenditore quando sceglie di investire in un settore diverso dal suo.
Sei un operatore culturale con un occhio al business?
Certo, e non potrebbe essere altrimenti. Sul progetto Magna Graecia Film Festival ho investito molto dei miei risparmi, e ancora oggi reinvesto nel festival quello che guadagno dal mio lavoro in televisione. Per me è un investimento continuo. I soldi li considero uno strumento per fare le cose e non l’origine di tutto.
Certo, ho incontrato tanti “no” nel mio cammino. Ci sono stati anche quelli che mi hanno sbattuto la porta in faccia, ma sono stati proprio loro a farmi diventare più bravo. Quelli che non mi hanno aiutato sono stati per me il petrolio, mi hanno fatto diventare quello che sono oggi. Soprattutto in un posto difficile e disperato come la Calabria.
Perché fai proprio qui il Magna Graecia Film Festival?
Perché è la mia terra ed è giusto fare qualcosa per la terra in cui si è nati. Io mi sento in permesso di soggiorno in questo mondo e sono convinto che ognuno di noi debba dare un senso alla propria vita. E io sento di averlo dato.
Nel mio piccolo ho cercato di aiutare il cinema italiano e l’ho fatto con tutto l’amore che avevo dentro e senza secondi fini.
In questi anni tanti mi hanno detto che attraverso il festival volevo fare politica, ma ti posso assicurare che in dieci anni ho sempre rifiutato ogni proposta. Io ho il mio progetto da portare avanti e lo voglio fare a modo mio: creando relazioni, collaborando con tutti, senza gelosie o invidie. Ho una figlia di due anni che può essere orgogliosa di suo padre.
In effetti, una delle prime cose che le persone dicono parlando di te è che sei “simpatico”
[grande sorriso] Io cerco di aiutare tutti quelli che me lo chiedono, se posso. Il mondo sta cambiando, viviamo in una società malata dove è fondamentale aiutarsi gli uni con gli altri. La solidarietà è l’unica scelta che abbiamo. Ma in molti sembrano non averlo capito.
Fai parte della Commissione per la cinematografia del Ministero dei Beni e delle Attività culturali, come giudichi il rapporto tra politica e cultura in Italia?
Sono il più giovane dei commissari e sto imparando molto dai miei colleghi. Certo, è innegabile che la politica italiana non abbia agito sempre al meglio nei confronti della cultura, basti pensare alla famosa frase del ministro Tremonti: “Con la cultura non si mangia”. Una vera fandonia!
Io, piccolo uomo in una terra disperata, con il mio festival faccio lavorare tantissime persone (dalle strutture alberghiere, ai ristoranti, alle agenzie di viaggio…).Se non ci si rende conto che la cultura può essere una grande risorsa, per noi, per i nostri figli, per il mondo che ci circonda, non ci sarà futuro.Tu pensa quanto è importante creare una coscienza critica in un giovane, illuminarlo con un libro, un film, oppure incontrando una persona importate che altrimenti non avrebbe occasione di conoscere. Io sono un ragazzo di paese e so bene cosa significa avere queste opportunità, le ho sognate per anni e sono riuscito ad averle solo andando via.
Quando è iniziata la tua carriera di organizzatore di eventi?
Ho iniziato a organizzare eventi quando frequentavo il liceo classico dai Salesiani di Soverato. In quegli anni venivano organizzati molti incontri sulla legalità, ricordo quelli con Antonino Caponnetto e altri grandi magistrati. Un’esperienza bellissima. Ma di ospiti che parlassero di cinema neanche uno… Fu allora che scattò qualcosa dentro di me e cominciai a darmi da fare.
In quegli anni non mi interessavano i videogiochi o le discoteche, io organizzavo concerti e sognavo di fare l’attore. Arrivato a Roma ho capito che non era quella la mia strada, ma ho scoperto che c’erano tante altre figure professionali in quel mondo, come quella che metteva in contatto il cinema e il grande pubblico. Era perfetta per me!
Ti ricordi la prima volta che sei stato al cinema?
A sei anni mio padre mi portò al teatro Comunale di Catanzaro per vedere un film e ricordo di essermi spaventato moltissimo alla vista di un treno che arrivava a grande velocità. Per non parlare del buio, ero terrorizzato! Direi che sono riuscito a superare bene questa paura…Hai conosciuto personalità di primo piano della storia del cinema italiano, come Mario Monicelli (di cui hai prodotto insieme a tuo fratello il documentario “Vicino al Colosseo c’è Monti”), cosa ti hanno insegnato?
L’umiltà. A 18 anni, studente universitario, accompagnai un giovane attore a un provino, e mi ritrovai davanti al grande Mario Monicelli. Ricordo ancora la sua stretta di mano, così intensa. Mi guardò negli occhi e mi disse: “Tu vuoi fare il cinema? Ricordati che fare il cinema è come fare l’elettricista, il falegname, l’idraulico….”.
Parole che mi ritornano in mente ancora oggi quando vedo tanti del nostro mondo che si prendono troppo sul serio. Facciamo cinema, non abbiamo mica scoperto la penicillina!
In effetti “umiltà” non è il primo termine che viene in mente pensando al mondo del cinema…
E’ vero. Ma io ho avuto la fortuna di essere cresciuto in un piccolo paese di provincia e nella mia vita devo molto ai salesiani. Sono loro che mi hanno aiutato a sognare e Don Bosco in particolare che mi ha spinto a farlo alla grande.
A 17 anni avevo voglia di fare, costruire, cambiare il mondo e attraverso gli insegnamenti di Don Bosco ho capito che ognuno di noi, nel suo piccolo, può contribuire a questo cambiamento. Anche se spesso vuol dire combattere contro tutto e tutti.Quando abbiamo iniziato con mio fratello Alessandro, nel 2004, era veramente duro fare arrivare gli ospiti. Molti ci chiedevano dove avessimo organizzato questo festival: Soverato? E dove si trova? Non sapevano proprio dove fossimo. Oggi Magna Graecia Film Festival è una macchina culturale da guerra e l’abbiamo costruita in un posto impensabile.
Un atto di coraggio o di incoscienza?
All’inizio incosciente lo ero, sicuramente molto più di adesso! Qualcuno mi definì, e non per farmi un complimento, un avventuriero. Ci rimasi male al momento, ma a ripensarci quella persona aveva ragione.
Anche Cristoforo Colombo è stato definito un avventuriero… Anche se, a dire la verità, spesso mi sono sentito un Don Chischiotte alle prese con nemici che si chiamavano indifferenza e ignoranza.
E ora Don Chisciotte ha trovato i suoi alleati?
Il pubblico sicuramente, e anche una certa pubblica amministrazione. Anni fa qualcuno mi disse che la Calabria era in credito con me. Non so se sia vero… Di sicuro è arrivato il momento di cambiare questa regione e di farlo seriamente, non più con le chiacchiere. La politica ha messo da parte troppo spesso i talenti.
Che ruolo ha avuto la tua famiglia nelle tue scelte?
Ho avuto una famiglia che mi ha permesso di fare quello che volevo ed è stata la mia fortuna.I miei genitori sono stati fondamentali, così come Alessandro, mio fratello, che è stato determinante in tutte le mie scelte; non avrei raggiunto tutti i miei traguardi senza di lui. E poi Francesca, mia moglie, un sostegno costante e prezioso sia nella mia vita privata sia in quella professionale.
E poi ci sono stati i preti che mi hanno messo su un palco e hanno permesso che il mio sogno di ragazzo di provincia diventasse realtà.
Io ho una grande fede e anche se nel mondo del cinema questo è un argomento non molto ‘amato’, io non mi vergogno a parlarne in ogni occasione. So bene di essere un peccatore e di avere i miei limiti, ma credo profondamente nel disegno di Dio su ognuno di noi.
Sono convinto che il segreto sia riconoscere il proprio talento, avere i propri sogni, e cercare di realizzarli.
Ma troppi sogni non rischiano di allontanare dalla realtà?
Qualche anno fa, don Mimmo Battaglia del Centro calabrese di solidarietà, durante un’omelia pronunciò una frase che mi colpì moltissimo: “I sogni sono il teatro dei poveri”.
Ecco, credo che fino a quando continueremo a sognare, il teatro e il cinema non finiranno mai…
A questo punto l’intervista (ufficiale) è finita. Con Gianvito e Alessandro abbiamo continuato a parlare ancora un po’ e ci siamo persino concessi una breve proiezione privata (in una piccola sala cinema che mi ha fatto pensare ai garage della Silicon Valley, quelli dove le grandi idee hanno preso vita).Soddisfatta? Certo, ma mancava qualcosa per far quadrare il cerchio. Ed è stato solo rileggendo questi appunti tra i tepori autunnali che ho trovato la chiave di lettura giusta.
Ho capito che la storia di Gianvito è quella di un Icaro talmente innamorato di un sogno da scegliere per le sue ali una colla speciale (lui la chiama fede, ma credo abbia molto a che fare con le sue radici), per sfidare persino il più caldo dei pianeti.
L’autunno, a volte, è proprio una bella stagione (per i blogger!)