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Giappone: Fukushima dopo 5 anni. Situazione ancora delicata, alcune città ancora abbandonate

Creato il 11 marzo 2016 da Stivalepensante @StivalePensante

Un sisma di magnitudo 9, un’onda anomala di oltre 30 metri di altezza, la distruzione di due reattori termonucleari della centrale Fukushima Daiichi: sono trascorsi cinque anni da quell’11 marzo del 2011, quando tre catastrofi, di cui due naturali, cancellarono 400 chilometri di coste giapponesi.

(chemtrailsplanet.net)

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Il bilancio fu di quasi 16.000 morti, 2.572 dispersi e 160mila evacuati, con oltre 127mila edifici distrutti. Si è trattato del secondo più grave disastro nucleare dopo Cernobyl, anche in questo caso al livello 7 della scala Ines. Con una differenza sostanziale: se l’impatto del disastro in Ucraina fu quanto meno circoscritto dopo l’esplosione a cielo aperto, l’emergenza a Fukushima non si puo’ ancora definire conclusa. Tra reticenze e ritardi nelle bonifiche, il caso sta scalfendo il mito della trasparenza ed efficienza di un Paese, il Giappone, che dell’atomo sicuro aveva fatto un credo anche per via delle tragedie della Seconda guerra mondiale.

A cinque anni dal disastro dell’11 marzo alla centrale nucleare di Fukushima, in Giappone, la vicina città di Tomioka è abbandonata. Il livello di radiazioni è ben al di sopra del limiti consentiti: le ultime rilevazioni parlano di 4,01 microSievert/ora. Anche in diverse zone circostanti il pericolo di esposizione alle radiazioni è ancora molto alto, sebbene il governo spinga molti sfollati a far rientro nelle loro case. A descrivere la situazione sono gli esperti di Green Cross, Ong ambientalista che ha effettuato i campionamenti nella Prefettura di Fukushima per valutare gli attuali rischi per l’uomo e l’ambiente. Secondo il fisico nucleare Stephan Robinson, direttore dei programmi acqua e disarmo di Green Cross Svizzera, “a Tomioka le radiazioni sono 35 volte superiori rispetto alla massima dose annua fissata dalle raccomandazioni della Commissione internazionale per la protezione radiologica. Ma anche al di fuori di quest’area, ad esempio a Koriyama, i parametri risultano fino a 20 volte più alti della soglia”.

Un muro di ghiaccio. Oggi l’acqua che viene utilizzata per raffreddare i reattori 1, 2 e 3 della centrale, che subirono il melt down a causa dello tsunami, continua in parte a fuoriuscire contaminando i mari. E non poca: si stimano circa 400 tonnellate di acqua al giorno. Per impedirlo lo scorso mese è stata avviata la costruzione di una immensa opera di ingegneria, nota come “muro di ghiaccio”: 1.500 tubi posti a 30 metri nel sottosuolo circonderanno i reattori danneggiati. All’interno dei tubi scorrerà un liquido che congelerà il terreno circostante impedendo la contaminazione. Gli stessi dirigenti della Tepco, la società che gestisce l’impianto e accusata di minimizzare e nascondere la gravità della situazione, hanno stimato che per dismettere la centrale ci vorranno dai 30 ai 40 anni.

Città fantasma e bonifiche. Il governo di Tokyo ha speso finora 135 miliardi di euro per bonificare le città della prefettura di Fukushima abbassando il livello delle radiazioni, ma l’incubo non è finito. Il governo vuole accelerare i tempi, ma restano delle difficoltà anche perché la centrale contamina ancora il mare”, come ha ammesso l’allora premier giapponese, Naoto Kan. Futuba, centro più vicino alla centrale nucleare, è tutt’oggi una città fantasma. I ciuffi d’erba spuntano dalle costruzioni in cemento e dalle strade disconnesse, gli scaffali dei supermercati sono vuoti e impolverati, i negozi di abbigliamento sembrano aperti, ma i capi esposti in vetrina sono coperti da una patina di muffa. Con ogni probabilità per le strade di Futuba nessuno tornerà mai a passeggiare, e la città diventerà una discarica di rifiuti radioattivi.

Nella vicina Naraha, invece, gli ex abitanti potrebbero tornare a “casa” già dal mese prossimo. Secondo le autorità giapponesi inoltre il 70% degli evacuati dalle sei municipalità della prefettura potranno rientrare nelle loro case a metà del 2017. Finora solo 60mila giapponesi hanno lasciato il campo di accoglienza dove erano stati trasferiti all’indomani del triplice disastro. Ma la maggior parte degli sfollati, soprattutto i più giovani e con figli, non sembrano aver nessuna intenzione di tornare nella vecchia città, spaventati dai livelli di radiazione. “L’intero tessuto sociale è disgregato” osserva Naoto Kan, l’ingegnere ed ex premier che dopo Fukushima ha ribaltato la sua posizione sul nucleare, definendosi contrario. Il problema principale è ancora l’acqua: “Il governo dovrebbe smetterla di prendere in giro la popolazione”, denuncia Yoshitaka Matsumoto, un allevatore del posto. “L’acqua del rubinetto proviene da una riserva con un fondale radioattivo”. “La gente può tornare a vivere a Nahara, bere acqua imbottigliata, ma per lavarsi e cucinare userà acqua del rubinetto”.

Greenpeace: natura contaminata per secoli. A dar ragione a Matsumoto arriva anche il rapporto di Greenpeace Giappone “Radiation reloaded” , pubblicato qualche giorno fa, secondo cui gli elementi radioattivi sono stati assorbiti dalle piante, dalle foreste, da fiumi ed estuari. Terreni e foreste, infatti, non sono ancora inclusi nei progetti di bonifica. I pesci d’acqua dolce, che rivestono un ruolo di primo piano nel commercio nipponico, presentano altissimi livelli di cesio. Numeri alla mano “già oltre 9 milioni di metri cubi di scorie nucleari sono sparsi su almeno 113mila siti nella Prefettura di Fukushima”. Per smaltire gli effetti del disastro – scrive l’organizzazione – occorreranno secoli.

Dai bambini ai soccorritori, lo spettro del cancro. All’indomani della tragedia il governo di Tokyo ha avviato uno screening su oltre 368mila residenti della prefettura che allora avevano meno di 18 anni. Il primo round di controlli terminato nell’agosto del 2015 mostra la presenza di noduli o cisti in circa la metà dei pazienti. Oltre 46mila eroi hanno continuato invece a lavorare alla centrale esponendosi a dosi di radiazioni che superano i 12,7 millisievert. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità un’esposizione a cinque millisievert rappresenta uno dei parametri per i lavoratori che hanno sviluppato una leucemia per fare causa all’azienda. Dopo aver respinto tre cause, lo scorso ottobre il tribunale della prefettura di Fukushima ha riconosciuto il primo caso di leucemia collegato al lavoro per il meltdown dei reattori nucleari. In tutto furono 180 gli eroi di Fukushima, la maggior parte vicini alla pensione o comunque avanti con l’età che entravano nella centrale a gruppi di 50 persone, da cui i “i 50 di Fukushima”. Tutt’oggi sulle loro condizioni di salute c’è la massima segretezza. Di certo si sa solo che il leader del team, Masao Yoshida, che scongiurò una catastrofe ancora peggiore raffreddando i reattori con acqua di mare, è morto nel luglio del 2013 per un cancro all’esofago scoperto alla fine del 2011.

Intanto il Paese si prepara alle Olimpiadi di Tokyo 2020. Il Giappone non è solo Fukushima, ma il governo assicura che la situazione è sotto controllo. “Non è così” ribatte Naoto Kan. “è quello che dice il governo, ma non corrisponde alla realtà. Occorreranno decenni per ripristinare la normalità”. (AGI)


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