Era il grande vecchio del mondo dei videogame, oltre che uno degli uomini più ricchi del Giappone. Hiroshi Yamauchi, morto poche ore fa a 85 anni, ha guidato la Nintendo dal dopoguerra al 2002 contribuendo a fare dei giochi elettronici un business da 60 miliardi di dollari l'anno. Schivo, poche le interviste rilasciate, altero e collerico, a Kyoto era rispettato con venerazione. Anche dopo il suo ritiro, lasciò il posto a Satoru Iwata, nella multinazionale di Super Mario ogni sua parola era eseguita alla lettera come un comandamento. Fu lui a trasformare una manifattura di carte da gioco in un impero dell'elettronica e dell'intrattenimento. E fu sempre lui a guidare la conquista del settore dei videogame da parte delle aziende giapponesi nei primi anni Ottanta.
La storia della Nintendo comincia alla fine dell'Ottocento con Fusajiro Yamauchi, il nonno di Hiroshi. Abitava nella parte est di Kyoto ed era un artigiano. Nel 1889 aveva fondato una piccola manifattura che produceva carte da gioco vendute nel negozio di famiglia. La manifattura si chiamava Nintendo Koppai. La svolta arrivò con Hiroshi, il nipote di Fusajiro che sostituì il padre Sekiryo nel Quarantanove. Era quello che potremmo definire una "testa calda", odiava il padre che aveva abbandonato lui e la madre e aveva un pessimo carattere. Uno che non stava mai fermo e che all'epoca rispettava poco le gerarchie e le tradizioni, tanto che all'inizio ebbe contro una parte di chi lavorava alla Nintendo Koppai. Ai giochi elettronici arrivò per tentativi, dopo aver aperto negli anni Cinquanta una compagnia di taxi, una produzione di riso istantaneo (si aggiungeva l'acqua calda ed era pronto) e una catena di alberghi ad ore. Yamauchi trasformò la Nintendo in un'azienda specializzata in videogame nel 1969, quando creò tre diversi dipartimenti di ricerca e sviluppo. Uno di questi, diretto dal giovane ingegnere Gunpei Yokoi, avrebbe inventato anni dopo fra gli altri il Game Boy. Il primo videogame invece, Laser Clay Range, arrivò nel 1973. Era una macchina da sala giochi installata in un locale di Kyoto. Si sparava con dei fucili che emettevano un tenue raggio di luce contro delle cellule fotoelettriche a forma di uccello. Nel frattempo, oltreoceano, Nolan Bushnell aveva fondato l'Atari che in breve avrebbe lanciato la console domestica Vcs 2600. La prima di una serie di macchine made in Usa che per quasi dieci anni regnarono incontrastate nel settore dei giochi elettronici. Ma il mondo americano dei videogame crollò su se stesso quasi improvvisamente nel 1983, nei negozi erano arrivate ben dodici diverse console e gli scaffali erano pieni di pessimi giochi fatti in fretta e furia, aprendo la strada al dominio giapponese. Dominio iniziato con il Nintendo Entertainment System, prima macchina da casa che a Kyoto lanciarono proprio nel 1983 e due anni dopo in America. Dietro l'universo fatato della Nintendo, così simile per certi versi a quello della Disney, c'è ovviamente anche la mano di Sigeru Miyamoto, "padre" di Super Mario, che entrò nella multinazionale nipponica nel 1977 all'età di ventiquattro anni assunto direttamente da Hiroshi Yamauchi. Miyamoto iniziò a lavorare sui videogame sotto la supervisione di Gunpei Yokoi e il suo primo progetto era gioco che aveva per protagonista una specie di King Kong che rapiva una principessa. Il giocatore controllava un esserino fatto di pochi pixel, un idraulico senza nome che poi sarebbe diventato Mario. In quel periodo andavano molto le battaglie spaziali stile Space Invaders dalla Taito. Così, anche all'interno della stessa Nintendo, c'era un certo scetticismo attorno al lavoro di Miyamoto. Donkey Kong uscì nel 1981 è diventò il videogame più popolare della storia. Sempre nel 1983 la Sega entrò ufficialmente nel settore con un gioco chiamato Astron Belt e per la Nintendo iniziò la lunga guerra commerciale con le altre compagnie giapponesi alle quali si aggiunse per ultima la Sony con la sua PlayStation a metà degli anni Novanta. Che, ironia della sorte, nacque inizialmente come lettore esterno proprio per le console Nintendo. Solo che a Kyoto decisero di accantonare il progetto e la partnership con la Sony, commettendo uno degli errori più grossi della storia della compagnia. Ma al di là delle scelte più o meno azzeccate, e dell'alterigia leggendaria di Yamauchi, la sua azienda ha inventato uno stile, diversi generi e plasmato i videogame facendone intrattenimento adatto alle famiglie. E questo è vero anche per le ultime console, dal Wii U al 2DS. Yamauchi ha in pratica continuato a innovare restando fedele alla tradizione, con un'attitudine diventata marchio di fabbrica che unisce due tendenze opposte. Lascia una compagnia in declino rispetto ai fasti e alle vette raggiunte dalla Wii, ma comunque con un giro di affari da oltre sette miliardi di dollari. Lascia anche cinque figli, uno dei quali lavora alla Nintendo.
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Articolo originale: http://www.repubblica.it