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Giardini di furie

Da Andreapomella

Giardini di furieCammino dietro di lui, sotto la prima luce flebile del giorno. È un uomo corpulento, con un vecchio abito da cerimonia, lercio e rattoppato. Porta a spasso un cane di taglia piccola, uno sbilenco barboncino bianco che sembra perdere continuamente il riferimento del guinzaglio. Trascina i piedi dentro un paio di orrende scarpe color fegato. Fa qualcosa che non si immagina a quest’ora del mattino, guarda le vetrine dei negozi ancora chiusi, sbircia nel buio con le mani a conca. Gli passo accanto e mi sorride. È un sorriso da psicotico, come quello di un bambino appena sorpreso a spiare dal buco della serratura. Ha gli occhi appannati e gentili, ingabbiati dentro una grossa faccia sporca di cenere, occhi che dimostrano una sensibilità purificata, e una corazza molto spessa per proteggersi dalle batoste della vita. Mi fermo a fare considerazioni prive di senso. Mi domando chi fosse sua madre, quali aspettative avesse per lui il giorno che lo mise al mondo. Dispongo le cose in un budello di tempo vecchio, visto che gli devo camminare affianco lentamente, equilibrandomi sul marciapiede della strada dissestata. Ha l’aspetto di un mimo, allora faccio in modo che sua madre fosse la trapezista di un circo, una ragazza inglese che una sera d’estate del ’59 fece perdere la testa a un domatore balcanico di pappagalli. E faccio in modo che la trapezista, dopo aver dato la bella notizia alla famiglia lontano nell’East Sussex, fosse fuggita dal circo con il fagotto nella pancia e i primi accenni della malattia mentale che l’avrebbe resa una triste vagabonda per il resto dei suoi giorni, e ai colleghi di lavoro che aspettavano il suo ritorno con impazienza per nuovi spettacoli circensi non lasciò nient’altro che le lacrime d’amore del povero domatore. Sarà per questo che l’uomo guarda nel buio dei negozi ancora chiusi, forse cerca la voce di sua madre che risuona da molti secoli nella sua testa, la cerca nelle stanze dei vivi, e comincia a singhiozzare fissando questi giardini di furie che fra un paio d’ore si popoleranno di gente sana, pulita e sfarzosamente indifferente.


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