Rabelais
di Rina Brundu. Ignoranza mia, ma non ho la più pallida idea di chi sia questo Garko di cui, Massimo Giletti (gagliardo conduttore de L’Arena, Rai 1) – dopo avere discusso di Affittopoli a Roma, raccomandando più volte agli ospiti di non citare i partiti politici – ha cominciato a dirimere quest’oggi (con un parterre reale che “vantava” tra gli altri Parietti, Maionchi e il giornalista Giordano), nel pomeriggio di Rai1, quello stesso pomeriggio più “conveniente” (a sentire i TG RAI) che noi contribuenti sovvenzioneremo, volenti o nolenti, da luglio 2016 in poi. Secondo la Parietti e i suoi colleghi colà radunati questo Garko non avrebbe avuto bisogno di mostrare nulla, basta che ci sia!
Sarà Diogene il Cinico, mi sono detta! Dalle immagini patinate mandate in onda ho invece scoperto che questo Garko è un qualche fotomodello, attore di teleromanzi o come cavolo si chiamano, desiderio segreto di ogni perpetua da oratorio e casalinga di Voghera invecchiata, e che, a guardarlo, ha ai miei occhi lo stesso appeal scivoloso che ha un budino andato a male. Con quel brivido di rifiuto (per non dire altro) in più che sempre mi trasmette la pelle umana troppo curata: de gustibus!
Ma naturalmente non è colpa di questo signor Garko, né del suo agente, nè delle solite masse italiche turlupinate da cotante proposizioni via etere che offendono il DNA ideale che ci rende Esseri capaci di razionalizzare. La colpa, al solito, è di quella classe politica che preda su situazioni intellettuali obiettivamente sfortunate, che gode nel malsano tentativo di alienare la coscienza critica di ognuno di noi, che vende non più sogni ma incubi deteriorati, degenerati, pulsioni minime che nella loro elementarietà fanno ribrezzo alle amebe.
Ma non dovevano riformarla la Rai? Non dovevano rivoltarla da parte a parte, se non nell’impossibile task di toglierle il fiato partitico dal collo almeno da un punto di vista dei contenuti? Non dovevano metterla al passo con i tempi, darci giustificazione piena del perché dobbiamo dare da mangiare, ogni anno, ad un tale Circo Barnum deciso a non andare “gently into the night”? Come non bastasse stamattina ho acceso il televisore e, di nuovo, ancora prima che riuscissi a cambiare canale, ho dovuto sorbirmi due minuti interi di un programma che va in onda su Rai2 (mi pare tra gli altri di avere riconosciuto un vecchio dj che si chiamava Amadeus, ma in tutta onestà non saprei nominare nessuno degli altri colleghi presenti in sua compagnia su quella sorta di teatro-studio), e che per tanti versi mi ricorda le maschere raccapriccianti e satolle tipiche della letturatura crassa e irriverente di Rabelais: confesso candidamente di non riuscire a trovare parole per definire tanto squallore!
D’accordo che è Carnevale ma – dovendo scegliere – perché non mandare in onda le maschere eleganti della festa veneziana? Mette i brividi addosso, infine, l’idea che la prossima settimana inizi il solito rito datato, obsoleto e triviale del cosiddetto Festival di Sanremo: il tutto come se niente fosse, come se il mondo non stesse cambiando senza di noi, come se il resto del globo stesse ancora dissetandosi al “sacro fuoco” artistico che divorava Claudio Villa, come se questo paese non fosse immerso nella merda corruttiva fino al collo, come se il domani potrà essere fatto migliore con un semplice schiocco di dita. O cambio di canale incazzato: magari bastasse quello!