L’atteggiamento giusto e razionale di fronte al declassamento del debito sovrano dell’Italia da parte di Fitch, dovrebbe essere letteralmente “chissenefrega”. Per molti motivi il primo dei quali è la poca credibilità delle agenzie di rating che sono società private spesso in conflitto di interessi: in particolare Ftich che appartiene per il 60% alla francese Fimalac il cui proprietario Marc Ladreit de Lacharrière è anche nei consigli di amministrazione dell ‘Oreal e di Renault e ha vasti interessi immobiliari, mentre per il 40% è della Hearst Corporation tra le cui principali attività c’è la pubblicazione di giornali e riviste economico-finanziarie, configurando così un insider trading globale e radicale.
E questo ci porta direttamente al secondo motivo: promozioni e bocciature sono solo avvisi e manipolazioni che il sistema finanziario lancia a una politica subalterna. Per il resto si tratta di scoperte dell’acqua calda (i dati Istat sulla grande caduta italiana del 2012 sono già noti da tempo) che vengono inserite dentro una “scatola di contraddizioni” per uscirne fuori come brani di teatro dell’assurdo per cui ciò che bisognerebbe fare per meritare voti maggiori, cioè ridurre il debito pubblico è proprio ciò che produce la caduta economica e dunque l’impossibilità di ridurre il debito e di investire su una possibile crescita.
Queste cose sono state dette mille volte, ormai sono persino more matematico demonstrate, ma fanno parte di un meccanismo infernale nel quale il sistema bancario e finanziario (cioè quello che tratta e possiede in via diretta o indiretta il 100% dei nostri titoli di Stato all’estero) protegge se stesso a scapito dei cittadini italiani del loro benessere e del loro futuro. La natura di pressione politica del declassamento è evidente, la strumentalità chiarissima, l’idiozia di fondo anche: l’incertezza del dopo elezioni mette a rischio le famose “riforme strutturali” cominciate da un governo tecnico che ha goduto di un quasi unanimismo, ma che hanno portato a un rovinoso crollo del Paese.
Tuttavia quelle riforme strutturali che consistono poi in precarizzazione del lavoro, svendita dei beni pubblici ai privati, taglio del welfare, eliminazione dei diritti, riduzione ai minimi termini dello Stato, sono l’opzione politica della finanza. Perciò davvero chissenefrega di questi giochini, se non esprimessero in realtà la paura di una reazione popolare tale da mettere in crisi gli apparati della politica subalterna, ostacoli le concezioni eurobancarie di origine tedesca e crei movimenti di resistenza alla grande truffa. L’Italia economica è stata affondata dai cattivi maestri, ma adesso si cerca di circoscrivere la reazione che si è manifestata con i cattivi voti. Non è un caso che la “punizione” sia arrivata nel primo Paese che ha effettivamente creato un vasto fronte anti austerità e relegato in posizione marginale il rappresentante dei potentati economici, di Bruxelles e persino del Vaticano.
In attesa di capire come possa esistere un debito sovrano in assenza di sovranità monetaria, ci sono invece altre cose di cui dovremmo preoccuparci, mandando Fitch e i suoi funzionari, peraltro indagati, a quel Paese e comunque molto lontano da qui. Per prima cosa l’economia reale e la causa vera del disastro che sta nelle politiche imposte dalla Germania all’Europa e che trovano la loro ragione, il loro punto di leva nella moneta unica. Questo adesso è l’effettivo problema e non può stupire se molti economisti di nome ormai lo indicano come il colpevole dell’attuale situazione. Ma dentro uno scenario davvero farsesco: non c’entrano i clown veri o presunti citati da Steinbruck, è invece la comica situazione nella quale ci troviamo: mentre è in corso una guerra monetaria a suon di svalutazioni, cominciata in Giappone e nella quale sia Stati Uniti che Cina sono sul piede di guerra e disponibili a far intervenire le loro banche centrali per deprezzare la loro valuta, noi dobbiamo invece cavarcela con una moneta che è di gran lunga troppo forte per il nostro sistema produttivo. Purtroppo se la ride di gusto solo la Merkel.