Ginevra II: una cena di gala lontana dal teatro degli orrori

Creato il 25 gennaio 2014 da Davideciaccia @FailCaffe

Montreaux (Svizzera) – 22 gennaio. Si aprono le danze per la risoluzione dell’annoso conflitto siriano. Il banchetto tra (quasi) tutte le potenze della comunità internazionale prosegue da venerdì a Ginevra, ufficio delle Nazioni Unite.

Ginevra II incarna il secondo tentativo (dopo il primo fallito nel 2012) di trovare un accordo che metta la parola fine alla mattanza in atto. Una guerra non solo siriana ma mediorientale (sanguinoso teatro di scontri tra sunniti e sciiti, che si espande a macchia d’olio nei vicini Iraq e Libano) e globale (per gli equilibri internazionali e gli schemi di alleanze in gioco). Nel frattempo, le milizie di Assad bombardano i civili con nuovi giocattoli bellici, le c.d. barrel-bombs (un’efficace miscela di tritolo, acciaio e petrolio); l’Esercito Siriano Libero (braccio militare dei “ribelli”) – affiancato da gruppi islamici moderati-  combatte contro il terrore jihadista, e i gruppi terroristici affiliati di Al-Qaeda si attaccano gli uni gli altri in una guerra fratricida. Le logiche sono quelle di un massacro civile coi fiocchi. Completa l’immagine di copertina l’emergenza oltre che catastrofe umanitaria. A soli 15 minuti d’auto dall’hotel a cinque stelle che ospita  l’Ufficio  delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA) a Damasco, gli sfollati muoiono di fame e freddo. Da mesi, infatti, nonostante i convogli delle Nazioni Unite si prodighino per consegnare cibo e medicinali nelle aree periferiche, il muro del regime ne impedisce l’affluenza. Il governo di Al-Assad utilizza la fame come arma di guerra contro il suo popolo (Reuters). Nella sua ottica, le operazioni d’aiuto sono “un cavallo di Troia” per delegittimare lo Stato, stabilire contatti con l’opposizione e ottenere sostegno internazionale per un intervento militare. Di 91 ospedali pubblici, 36 sono fuori uso e 22 sono stati distrutti dagli scontri, mentre quasi la metà delle 658 ambulanze disponibili sono state derubate, bruciate o danneggiate, secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO).

Sullo sfondo di un set degno del genio Francis Ford Coppola, si erge elegante la conferenza di Ginevra. Riusciranno i nostri eroi nel “multistellato albergo svizzero” (come lo definisce su Limes Lucio Caracciolo) a raggiungere un accordo? Vediamo di cosa si tratta.

Scopo della conferenza

Soluzione politica: costituzione di un’amministrazione di transizione (“transitional body”) con il mutuo consenso delle parti (governo di Assad e opposizione). Le regole di buon negoziato ci dicono che, per riuscire nel tentativo pacificatore: dev’essere concordato un ordine del giorno, le parti devono essere interessate al raggiungimento di un benchè minimo risultato, devono essere stabiliti obiettivi comuni e- soprattutto- i combattenti devono essere disposti a deporre le armi. Nessuna di queste condizioni è presente a Ginevra. Anzitutto, chi sono le parti e di quali consenso stiamo parlando?

Le parti in gioco

Partiamo dai “ribelli” o “opposizione” siriana. Il fronte è molto eterogeneo e frammentato. Il c.d. organo politico, che siede al tavolo del negoziato, è la Coalizione Nazionale siriana (CNS). Poi abbiamo il suo braccio armato: l’Esercito Siriano Libero, che non ha accettato l’invito alla conferenza e non è disposto ad accogliere nessuna soluzione di mediazione e/o cessate-il-fuoco. Imperativo categorico del CNS e ancor più dell’Esercito è: Assad fuori. Oltre a mente politica e braccio armato, vi è poi un’altra formazione in campo (sempre dalla parte dei “ribelli”) ma più controversa. Stiamo parlando del Fronte islamico il quale, non solo non è stato invitato alla conferenza, ma non è neanche formalmente riconosciuto dall’opposizione. Formatosi nel novembre 2013, il Fronte islamico sta esercitando una notevole influenza sul futuro della Siria ed è un attore chiave nella lotta contro il presidente Bashar Al-Assad. La nuova alleanza è stata creata dopo mesi di trattative e più di una dozzina di fazioni sembrano essere raggruppate al suo interno. E’ diventato oramai di dominio pubblico che si tratti di una creatura dell’Arabia Saudita (nemico numero uno di Assad) anche se non ci sono prove certe che lo attestino. Altri ancora individuano nel premier turco Erdoğan un sostenitore silenzioso del Fronte, o almeno di una delle unità di questa composita fazione. Ideologicamente e politicamente, il Fronte si posiziona a metà strada tra Esercito Libero siriano (finanziato dalle monarchie del Golfo) e fazioni jihadiste radicali. Piaga e metastasi in espansione sono infatti i gruppi radicali ispirati ad Al-Qaeda. Stiamo parlando di ISIS e Jabhat Al-Nusra. L’ISIS (Stato islamico in Iraq nel Levante) è nato come affiliato di Al-Qaeda in Iraq dopo la dipartita degli americani nel 2011, sottomettendo gran parte della popolazione rurale locale del nord (sunnita) e perseguendo una campagna di terrore spietata a danno degli sciiti più a sud. L’ISIS ha raggiunto la Siria sin da Aprile dello scorso anno; il suo obiettivo è quello di creare una “Grande Siria” a Levante (al-Sham) che comprende – tra le fasce di quella che era la Mezzaluna fertile- Libano, Palestina e Giordania. Jabhat Al-Nusra, fronte rivale dell’ISIS nella regione, affiliato al leader qaedista Ayman al-Zawahiri, è il responsabile degli ultimi attacchi terroristici in Libano. Chi finanzia questi gruppi? Secondo il ministro degli esteri siriano Al-Moallem i fautori del male sono gli Stati del Golfo (con in testa l’Arabia Saudita) e “gli occidentali”. Secondo un reportage di Al Jazeera, è lo stesso Assad che arma i jihadisti nella solita ottica del ‘dividi et impera’.

Vediamo adesso chi sono gli attori internazionali presenti in concerto a Ginevra (Carta a sinistra di Laura Canali per Limes). Ci sono le rappresentanze di ben 40 Stati (compreso lo Stato Vaticano). Tra le potenze di maggior rilievo: USA, impersonati dal segretario di Stato John Kerry; Russia, rappresentata dal ministero degli esteri Lavrov; Cina, Arabia Saudita, paesi arabi confinanti (compreso Qatar); Unione europea, nei panni dell’Alto rappresentante per la politica estera Catherine Ashton. Persino Australia e Corea ma non l’Iran (che in un abile gioco di carte è stato invitato al negoziato ma poi successivamente respinto). Il governo siriano è rappresentato dal ministro degli esteri Walid Al-Moallem, e l’algerino Lakhdar Brahimi è l’invitato dell’ONU che ricopre il difficile ruolo di mediatore tra governo e opposizione siriana. Con riferimento alle alleanze, Russia e Iran sono storici sostenitori di Al-Assad (la Cina mantiene un profilo basso). L’Arabia Saudita, in testa alle monarchie del Golfo (tra cui il Qatar), sostiene il fronte dei ribelli. Gli USA fanno spallucce: dopo la sconfitta diplomatica dello scorso agosto, non vedono l’ora di chiudere definitivamente il dossier Siria. La partita geopolitica si gioca dunque tra Russia e Arabia Saudita (dal momento che l’Iran, asse sciita della regione, ha preferito starsene in panchina e guardare la partita da casa).

Andamento dei negoziati

I negoziati non sono partiti col piede giusto. Nonostante l’esordio apocalittico di John Kerry a Montreaux: “Today is the beginning” e il diplomatico savoir-faire del segretario dell’ONU Ban Ki-moon, Ahmad Assisi Al-Jarba (presidente del CSN) è stato chiaro: Assad fuori! Ha fatto eco Kerry, con la sua logica di delegittimazione del governo siriano. In contrattacco, il ministro russo Lavrov ha invitato la controparte americana ad “astenersi da qualsiasi tentativo di predeterminare l’esito del processo”, sempre nell’ottica della non-interferenza negli affari interni siriani (tesi molto cara a Pechino). Poco cauto e meno diplomatico nei modi è stato sin da principio il ministro degli affari esteri siriano al-Moallem. Dallo sguardo fermo e deciso e le retorica paranoica del ‘vedo nemici ovunque’, accusa gli Stati arabi di voler distruggere la Siria dall’esterno e addita senza mezzi termini Arabia Saudita da un lato e Turchia dall’altro (entrambi colpevoli –secondo lui- di aver alimentato i gruppi jihadisti nella regione). Anche l’Occidente, nella sua ottica, è colpevole della catastrofe siriana e ai solleciti di Ban Ki-moon per terminare il suo discorso risponde: “Tu abiti a New York, io abito in Siria”. Accusa l’Arabia di aver “usato i petroldollari per comprare armi e inondare i media internazionali di menzogne” e sostiene Al-Assad alle prossime elezioni presidenziali (che decideranno le sorti politiche del Paese). Secondo al-Moallem la priorità in Siria non è la creazione di un governo di transizione quanto la lotta al terrorismo. La sua ultima minaccia è quella di “abbandono del negoziato di Ginevra se non si inizia a parlare di problemi seri”.

Come anticipato in partenza, a Ginevra manca il sale del negoziato: il consenso delle parti su un obiettivo unico da perseguire. Se per gli uni Assad deve fare le valigie, per gli altri la legittimità del suo potere è fuori discussione (Come pensano, i big della diplomacy, di poter costituire un governo transitorio mutualmente riconosciuto?). Last but not least, a Ginevra ci sono troppe sedie vuote: l’assenza dell’Iran è imperdonabile e la presenza del solo Comitato Nazionale Siriano è misrappresentativa se non fuorviante. Come esaustivamente delinea Lucio Caracciolo: “Fare la pace in Siria senza l’Iran, protettore del regime di al-Asad, e senza i fiduciari dei jihadisti che su quel terreno si battono tra loro – salvo duellare, negli intervalli, con le truppe regolari – equivale a cucinare una frittata senza uova”.

Quella di Ginevra II rischia di essere l’ennesima pantomima di lusso dove gli invitati apparecchiano la tavola lontano dal teatro degli orrori, e le sedie degli ospiti d’onore restano vacanti.


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