Termina con questa puntata il nostro viaggio, che ha occupato i mercoledì del mese di novembre, alla ricerca di storie che hanno sconvolto la ginnastica artistica. Vi abbiamo angosciato, lo sappiamo; alcuni ci hanno detto di esser stati avvolti da un velo di tristezza, altri sono rimasti sconcertati; altri ancora contenti per aver scoperto pillole di sport che non conoscevano. Promettiamo di ritornare con “Ginnastica Story” ma con storie più felici e allegre.
Dopo aver raccontato le disgrazie di Elena Mukhina (cliccate qui per leggere l’articolo), di Gomez e Sang Lan (cliccate qui per leggere l’articolo), dell’anoressia (cliccate qui per leggere l’articolo), oggi ci occupiamo ancora di malattie che ci hanno purtroppo tolto grandissime atleti, ragazze troppo giovani per soffrire così tanto.
Sabina Cojocar prova un amore viscerale per l’artistica. Ha solo tre anni quando, nel 1988, nella sua piccola Sibiu, convince gli istruttori che ha cinque anni e che può praticare la disciplina con le “grandi”. Ci cascano tutti vista la sua bravura. Nel 2000 la Nazionale rumena la chiama per vestire il body giallo-rosso-blu e lei si mostra al pubblico come meglio non potrebbe. La rassegna continentale riservata agli juniores diventa il suo primo terreno di conquista. Parigi si inchina ai suoi piedi e lei diventa la vera reginetta: campionessa nel concorso generale, oro al volteggio e alla trave, argento a squadre e al corpo libero. Un record ancora oggi.
Davanti a lei si sta aprendo una carriera radiosa che incontra la sua prima tappa al Mondiale di Gent 2001: contribuirà a portare le proprie compagne all’oro a squadre.
Un anno prima, però, gli era stata diagnosticata l’ipercolesterolimia (una malattia caratterizzata dall’elevato livello di colesterolo nel sangue) e per guarire le venne prescritto lo Zocor. Peccato che questo farmaco non fosse stato progettato per essere utilizzato sui ragazzi (Sabina all’epoca aveva solo quindici anni). Gli effetti collaterali sono inevitabili: debolezza, gravi dolori muscolari ai legamenti, stanchezza e quant’altro. Octavian Bellu, l’allora commissario tecnico della Nazionale rumena e anche attuale visto che è ritornato in carica nel 2010, la costringe ad allenarsi e a continuare l’assunzione del medicinale. Ancora di fronte a un aguzzino, come tanti che abbiamo purtroppo conosciuto in questo percorso.
Nel 2003 il ritiro dall’attività fisica è inevitabile perché i problemi di salute assumono un livello sempre più cronico. La Cojocar andò in televisione a denunciare l’accaduto: venne fuori un putiferio che rischiò di mandare a rotoli la ginnastica di un Paese che vive per l’artistica. Anche perché non si limitò a parlare del proprio problema, ma affermò che alcune sue compagne avevano subito percorre terribili da Bellu e dallo staff tecnico.
Cercherà di rimettersi in pista per partecipare ai Giochi Olimpici di Atene 2004, ma non ebbe il benché minimo successo. Contemporaneamente coach Bellu ebbe la sua rivincita in Grecia portandosi a casa quattro ori proprio nella rassegna a cinque cerchi (a squadre, il volteggio di Monica Rosu, la trave e il corpo libero di Catalina Ponor). Ora allena a Sibiu, disegna modelli per gioielli e si diletta nel canto.
Cliccate qui per vedere il suo esercizio alla trave ai Goodwill Games del 2001.
Molto peggio andrà a una sua piccola connazionale. Quanta sofferenza per la povera Alexandra Huci, la cui storia ha letteralmente scosso il Mondo, commovendo il cuore di milioni di persone. La rumena, a dodici anni appena compiuti, ha un crollo fisico durante un allenamento. È la conseguenza di una malformazione congenita al cervello che sfocia in un’emorragia. Viene ricoverata d’urgenza all’ospedale di Timisoara: la aspetteranno cinque giorni di coma prima di andarsene il 21 agosto 2001, tra atroci dolori e tra le lacrime dei genitori. La ginnastica artistica perdeva così una delle sue più grandi promesse mondiali, già campionessa nazionale juniores, con un futuro limpido davanti a sé e con le Olimpiadi di Pechino nel mirino. Una domanda gira ancora adesso: la malattia non si poteva diagnosticare prima, salvando così la vita a una bimba?
Cliccate qui per vedere le immagini che sconvolsero il Mondo con Alexandra in ospedale.
Rimaniamo nella terra di Nadia Comaneci per narrare la vicenda di Andreea Munteanu. Una enfant prodige che conquista il body nazionale in meno di un anno di allenamenti nel regno di Deva e che lo bagnò all’esordio con l’argento mondiale a squadre nella rassegna di Anaheim 2003 (anche se le reginette venivano da otto titoli consecutivi) e con un quarto posto al corpo libero tra le lacrime.
Era nata una stella, ma la piccola non aveva fatto i conti con la malasorte. Convocata per partecipare alle Olimpiadi di Atene, è costretta ad abbandonare a pochi giorni dall’inizio dei Giochi. Motivo: sindrome da stress tibiale mediale. In sostanza un infortunio che causa dolore nella parte inferiore della gamba, tra il ginocchio e la caviglia. Causa: traumi ripetuti al tessuto muscolare connettivo. I troppi salti al corpo libero, i troppi volteggi, il troppo poco recupero hanno sostanzialmente lacerato le connessioni articolari. È stata troppo sollecitata: andava fermata prima. Forse aveva ragione la Cojocar su Belu?…
Cliccate qui vedere un suo esercizio al corpo libero.
Non su Belu in particolare, ma sul sistema di allenamenti di Deva, si era dilungata l’influente Alexandra Marinescu che venne paragonata addirittura a Sua Maestà Comaneci per l’eleganza dimostrata alla trave durante i Mondiali del 1996 quando conquistò l’argento. Proprio colei che, alle Olimpiadi di Atlanta 1996, dovette subire l’affronto di Belu che la sostituì con Simona Amanar nella finale del concorso generale, con la scusa che “non aveva lavorato abbastanza duramente”. La Marinescu denunciò tutti gli abusi subiti nel centro, parlò dei metodi di lavoro eccessivamente duri e nel 2002 uscì nel suo Paese con il libro Alexandra’s Secrets scritto insieme al giornalista sportivo Andrei Norescu. Vinse addirittura diversi premi. Noi ci limitiamo a fare una considerazione: o sono pazze le ragazze o qualcosa di marcio sotto c’è.
Cliccate qui per vedere la sua bella trave ad Atlanta, sporcata solo in uscita.
Pura sfortuna, invece, per la russa Nadezdha Ivanova che ebbe alcuni problemi all’anca e fu costretta a ritirarsi dalle scene. Fu lo stesso “fastidio” che ebbe Dong Fangxiao. Lei, però, passò agli onori della cronaca per aver imbrogliato a Sidney 2000. Più che lei, gli allenatori e il governo cinese che dichiararono un’età di diciassette anni per l’atleta. Peccato che ne avesse solo quattordici e che quindi non poteva partecipare alle Olimpiadi (limite minimo fissato a quindici primavere compiute). Un’altra ragazzina succube dei piani alti. La magagna saltò fuori a Pechino 2008 quando la Dong si candidò per lavorare come ufficiale tecnico: registrò che il suo compleanno era il 23 gennaio 1986. I conti sono molto semplici. La Federazione Internazionale fece alcune verifiche, confermò la farsa e tolse il bronzo a squadre conquistato dalla Cina otto anni prima. Questa, però, è tutta un’altra storia…
Cliccate qui per un esercizio della Ivanova.
Cliccate qui per vedere all’opera Dong proprio a Sidney.
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stefano.villa@olimpiazzurra.com
(nella foto Alexandra Marinescu)
OA | Stefano Villa