Il fondatore dell'Ong lancia SOS Emergency: "Ci vuole più impegno sul
fronte interno. Negli ambulatori di Palermo e Marghera la presenza di
connazionali è in aumento. E sono sempre più poveri"
Gino
Strada, la campagna “S. O. S. Emergency” per la raccolta fondi si
concentra molto sull’Italia. Il nostro paese è una delle nuove frontiere
del disagio dove sempre più persone hanno bisogno di aiuto?
A me sembra che l’Italia sia sempre più terra straniera, un luogo in
qualche modo alieno, non solo per le necessità degli stranieri, ma anche
di molti cittadini italiani. Da anni mi sono reso conto che i bisogni
non sono solo oltre frontiera, in altri paesi, dove noi siamo presenti
da tempo, ma sempre più qui, in patria. Per questo abbiamo aperto il
poliambulatorio a Palermo per i migranti, dove curiamo, in modo del
tutto gratuito, persone che vengono da oltre 70 paesi. E poi a Marghera,
nato con lo stesso obiettivo e dove, con il passare del tempo, ci siamo
accorti che che la presenza degli italiani è salita oltre il 20 % del
totale: nuovi poveri, scesi sotto la soglia della miseria. E poi gli
ambulatori mobili, che seguono i braccianti nei loro massacranti lavori
stagionali.
La sanità italiana è sempre più malata, e questo si riflette
sulla vita di tutti. La via della guarigione passa sempre più attraverso
soluzioni economiche. C’è un’altra via?
Non mi pare che ci sia bisogno di gran consulto di economisti, bastano
quattro amici al bar per dare formule economiche. Ma bisognerebbe
ribaltare la questione: non è quanti risparmi si possono fare sulla
sanità, ma quante e quali sono le necessità e recuperare i fondi
altrove. Perché non tagliare i soldi per la guerra? Nessuno lo ha mai
veramente fatto, nemmeno questo governo mi pare, almeno per ora. Perché
noi i costi delle guerre in questa situazione proprio non ce le possiamo
permettere, ed è un esercizio che pare si faccia solo per susseguio
alla potenza a stelle e strisce. E l’altro problema è smetterla con la
bestemmia che bisogna trasformare gli ospedali in aziende. Faccio un
esempio: scommetto che se il ministero della Sanità o chi per lui
potesse darci in gestione San Raffaele decidendo quale è il budget
adeguato, saremmo in grado di curare tutti gratuitamente, senza far
pagare alcun ticket, tenendo i conti a posto. E questo perché la
differenza la fa il profitto del privato, mentalità e sistema che si è
infiltrata nelle strutture pubbliche. Facciamo il caso dell’intervento
di sostituzione mitralica che è sovvenzionato dal servizio pubblico con
25 mila euro ma il cui costo di base è di 2. 000. O le pulizie,
appaltate all’esterno, mentre l’igiene di un ospedale non può essere
considerato una possibilità di lucro. Negli ultimi decenni l’idea di
servizio pubblico si è sgretolata a tappe successive, anche per via
della casta medica: l’arrivo della libera professione all’interno degli
ospedali, l’aziendalizzazione, l’esternalizzazione dei servizi; la
quantità al posto della qualità. Pubblico e privato devono poter
rimanere separati, e le case di cura camminare con le proprie gambe. È
un discorso che vale anche per un altro pilastro della nostra
repubblica: l’istruzione.
Per questo chiederete ai vostri sostenitori uno sforzo per
impegnarsi anche in Italia. Ma i fondi mancano perché si riduce il
numero dei donatori o la quantità di denaro che arriva?
Il numero di donatori di Emergency è per fortuna in costante aumento, ma
essendo in gran parte normali cittadini, hanno meno soldi, e il flusso
generale si è ridotto. Chiediamo 5 milioni di euro, per continuare i
nostri 47 progetti con i quali siamo presenti in 7 paesi, e per aprire 5
nuovi ambulatori in Italia, nelle città dove il bisogno è maggiore:
penso a Bari, Napoli, Roma… Con questo impegno all’estero abbiamo
guadagnato il rispetto delle popolazioni che abbiamo assistito; in
Italia un buon servizio pubblico, il rispetto del bene comune, ridà
fiducia nei confronti dello Stato. Per noi è un’avventura di civiltà che
deve continuare, nonostante le difficoltà, anche burocratiche come, per
esempio, i due anni di tempo che lo macchina statale ci mette a
stabilire ed erogare il 5 x 1000. In fin dei conti alle difficoltà siamo
abituati: penso ad Azzarà e alla sua vicenda in Sudan, che si è
conclusa bene; ma penso anche ai successi dei nostri centri in
Afghanistan dove abbiamo già raggiunto e superato di molte volte gli
obiettivi del millennio sulla mortalità materna che l’Onu si è
prefissato per il 2015. E mi ricordo anche che storicamente, è nei
momenti di crisi che i cittadini si sentono più solidali.
Quale è la cosa che le farebbe più piacere poter fare, l’impegno che sente più urgente e personale.
Sono un chirurgo, vorrei poter tornare a operare; vorrei poter dedicare più tempo alla sala operatoria, a curare i miei malati.
da Il Fatto Quotidiano