17 settembre 2012 Lascia un commento
Tre donne, tre generazioni, mariti non alla loro altezza e la campagna inglese in autunno. Solo qualche omicidio puo’ portare una ventata di aria fresca nel suggestivo per quanto immobile panorama.
In realta’ la fauna umana fornisce abbastanza stimoli da tenere occupato un antropologo per qualche decennio tra ragazzini fissati coi numeri, come se il regista non lo fosse col suo conteggio da 1 a 100 che attraversa tutto il film, medici legali satiri, bambine che saltano la corda contando le stelle e una serie di macchiette molto felliniane totalmente immerse nel microcosmo nel quale vivono.
Eccoci quindi con un Greenaway al suo massimo, prima che la computer-grafica gli assorbisse l’anima, prima che confondesse stile con stilema, con Nyman al suo fianco, Balanescu al violino e tutta la natura morta dentro, col potere di uscire dalle tele e farsi celluloide.
Certo che anche in questo periodo non scherzava in quanto a luci, forme, simboli e immagini, riempiendo materialmente ogni singolo fotogramma con infiniti rimandi, citazioni, giochi gettati come un guanto allo spettatore che ad un certo punto puo’ soltanto accettare la sfida cercando al meglio di star dietro al passo veloce del regista.
Talvolta fa arrabbiare e’ vero, acrobata sospeso tra il surreale e il grottesco, non sempre resta sotto la soglia minima della boria ma e’ da prendere cosi’, nel carico degli eccessi e della fantasia, pittore piu’ che regista di grandi, immense tele colme di un cosmo a stento compresso nel poco spazio a sua disposizione.
Ad aiutarlo i protagonisti, inglesi come la storia, inglesi come il soggetto, inglesi come le nebbie e la terra umida, indifferenti a quanto accade, persino a loro stessi ed e’ un lato del popolo anglosassone che dai tempi di "Fumo di Londra" non cessa di sorprendere ed affascinare.
Possiamo chiuderla qui, del resto Greenaway e’ da vedere e parlarne seve a poco, se poi e’ ancora divertente, il consiglio vale doppio.
In realta’ la fauna umana fornisce abbastanza stimoli da tenere occupato un antropologo per qualche decennio tra ragazzini fissati coi numeri, come se il regista non lo fosse col suo conteggio da 1 a 100 che attraversa tutto il film, medici legali satiri, bambine che saltano la corda contando le stelle e una serie di macchiette molto felliniane totalmente immerse nel microcosmo nel quale vivono.
Eccoci quindi con un Greenaway al suo massimo, prima che la computer-grafica gli assorbisse l’anima, prima che confondesse stile con stilema, con Nyman al suo fianco, Balanescu al violino e tutta la natura morta dentro, col potere di uscire dalle tele e farsi celluloide.
Certo che anche in questo periodo non scherzava in quanto a luci, forme, simboli e immagini, riempiendo materialmente ogni singolo fotogramma con infiniti rimandi, citazioni, giochi gettati come un guanto allo spettatore che ad un certo punto puo’ soltanto accettare la sfida cercando al meglio di star dietro al passo veloce del regista.
Talvolta fa arrabbiare e’ vero, acrobata sospeso tra il surreale e il grottesco, non sempre resta sotto la soglia minima della boria ma e’ da prendere cosi’, nel carico degli eccessi e della fantasia, pittore piu’ che regista di grandi, immense tele colme di un cosmo a stento compresso nel poco spazio a sua disposizione.
Ad aiutarlo i protagonisti, inglesi come la storia, inglesi come il soggetto, inglesi come le nebbie e la terra umida, indifferenti a quanto accade, persino a loro stessi ed e’ un lato del popolo anglosassone che dai tempi di "Fumo di Londra" non cessa di sorprendere ed affascinare.
Possiamo chiuderla qui, del resto Greenaway e’ da vedere e parlarne seve a poco, se poi e’ ancora divertente, il consiglio vale doppio.