Quando il prezzo dei beni fisici comincia a staccarsi dalle quotazioni delle borse merci, è un segnale che il mercato reale sta andando in una direzione, mentre il mercato finanziario sta andando dall’altra. Se questa divergenza si amplifica, uno dei due mercati è destinato al default.
È ciò che sta succedendo sul mercato dell’oro e dell’argento, dove all’indomani del crollo delle quotazioni avvenuto in aprile, il prezzo del metallo fisico è diventato più alto del prezzo del contratto cartaceo quotato in borsa. Per comprare oro fisico bisognava pagare un premio più alto rispetto a quello prima del crollo. Ma nonostante ciò, sono state segnalate massicce ondate di acquisti di oro fisico dal Dubai e le vendite di monete d’oro negli Stati Uniti nel corso del mese di aprile sono state solo di poco inferiori ai massimi raggiunti nello stesso periodo durante gli ultimi 26 anni.
Secondo alcuni commercianti di monete d’argento, lo stesso giorno in cui le quotazioni di borsa segnavano 23,94 dollari/oncia, venivano vendute monete a 29,54 dollari/oncia.
Eric Sprott, della Sprott Asset Management, ha una teoria interessante riguardo a questo momento di mercato. Molte banche commerciali avrebbero nei propri portafogli quantità enormi di oro cartaeo, a fronte di una quantità bassa di oro fisico, tale da rendere la leva insostenibile nel tempo. Quindi sono obbligate a comprare grosse quantità di oro fisico e per farlo a condizioni vantaggiose, vendono contratti in borsa per abbassare i prezzi e comprano lingotti d’oro per rimpinguare le proprie scorte.