PREMESSA: In questo articolo tralasceremo il fatto che nelle storie ci siano aspetti ludici e che l’arte sia un gioco ( su tale aspetto torneremo prossimamente), teniamo invece presente che ogni tipologia di gioco ha le proprie peculiarità e in questa sede ci soffermeremo maggiormente sul videogioco.
Come abbiamo già visto in precedenza i videogiochi, proprio per la loro natura, offrono delle esperienze virtuali da vivere che ogni giocatore sperimenta personalmente. Arrivati a questa conclusione però, sorge una domanda lecita: è giusto pensare i videogiochi in termini di storia e narrazione?
A tal proposito due importanti game designer e teorici hanno discusso su tale argomento in un dibattito online, di cui vi proponiamo un estratto:
Greg Costikyan: Una storia si può concepire come “perle di una collana,” una narrazione lineare. Un gioco si può comprendere meglio come un triangolo di possibilità, con la situazione iniziale a un vertice e le conclusioni possibili lungo il lato opposto, con una miriade, idealmente , un’infinità di percorsi tra lo stato iniziale e il risultato. Nella misura in cui si tenta di realizzare un gioco più come una storia, attraverso l’imposizione di elementi e situazioni decisi in modo arbitrario, lo si rende meno gioco e più vicino alla struttura di una storia.
Brenda Laurel: Non credo che i videogiochi cambino la percezione popolare di ciò che è una storia. Nella cultura popolare, si parla di personaggi e mondi relativamente a mezzi di comunicazione indipendenti. Nel linguaggio comune, il termine “storia”si riferisce in realtà al potenziale creato da personaggi, mondi, situazioni, racconti e così via, piuttosto che ad una istanza specifica (ad esempio, Star Trek, Care Bears, Myst).
Come possiamo leggere sia Greg Costikyan che Brenda Laurel fanno delle importanti e corrette affermazioni, infatti il primo osserva come le storie siano per definizione lineari mentre un gioco per sua natura è dinamico e offre una miriade di variabili e di possibilità. D’altra parte però, va notare Laurel, nella cultura popolare si usa il termine “storie” per parlare di personaggi, mondi e situazioni; infatti tendiamo a usare la narrazione per parlare di tutto, per spiegare la realtà che ci circonda. Quindi, almeno in apparenza, le due osservazioni sono in antitesi e non ci forniscono una risposta chiara e precisa al nostro quesito. Anzi, a dirla tutta, queste tematiche costituiscono il terreno da scontro tra due fazioni contrapposte: i narratologici e i ludologi.
Infatti il primo gruppo afferma che i videogiochi sono legati alle storie poiché attraverso cutscenes, testi, suoni e immagini; essi sono in grado di raccontare una storia e quasi tutti i videogiochi presentano un background narrativo anche minimo che contestualizza le nostre azioni.
In Super Breakout, per esempio, il background narrativo è scritto nelle istruzioni del programma: i giocatori sono posti all’interno di un’astronave che sfreccia attraverso l’oscurità dello spazio profondo, più veloce della luce. Il giocatore incontra un misterioso campo di forza, che blocca la sua strada. Può passare attraverso di esso o intende distruggere il giocatore? Questo semplice testo fornisce un contesto narrativo entro il quale si concentrano le azioni del giocatore, facendo saltare via il campo di forza, al fine di riprendere il suo viaggio. Senza questo contesto, le azioni del giocatore nel gioco sarebbero altamente astratte e in Super Breakout potrebbe mancare una motivazione narrativa.
Il secondo gruppo invece, tende a porre l’accento sul fatto che i videogiochi sono giochi e in quanto tali non sono nuovi, ma molto antichi, forse più antichi delle stesse storie. Essi inoltre evidenziano le caratteristiche peculiari dei videogiochi ( e altre tipologie di gioco) che sono, per esempio: le regole, il gameplay, l’attività del giocatore, gli obiettivi e la proiezione delle azioni del giocatore nel game world.
Un altro importante contributo proviene da Espen Aarseth, che già dal seminale saggio Cybertexts, fa notare come i media narrativi richiedano da parte del fruitore quella che lui definisce come funzione interpretativa (la capacità di decifrare e comprendere un testo), mentre il medium videoludico richiede la capacità di esercitare una funzione di tipo configurativo (manipolazione di elementi in virtù del raggiungimento di determinati obiettivi), permettendo addirittura di intervenire a livello di riconfigurazione textonica ( cioè interventi a livello di programmazione del codice per modificare parti del gioco o personalizzarle).
Dal libro “First Person”, una citazione di Espen Aarseth (…) computer games are games, and games are not new, but very old, probably older than stories. It could even be argued that games are older than human culture (…)
Prima di andare avanti nella nostra indagine è bene però, stabilire cosa si intende quando parliamo di storie. A ragion veduta, una storia è un insieme di eventi, azioni e situazioni considerati nel loro svolgimento. Parliamo di storia riferendoci, generalmente, a eventi accaduti nel passato (per esempio la storia dell’umanità) o comunque prestabiliti ( in questo caso ci riferiamo a storie anche fittizie raccontate nei romanzi o nei film). Una storia quindi può essere o reale o fittizia e la narrazione è una capacità dell’uomo (sviluppata grazie al linguaggio) che ci permette di dare senso alla realtà che ci circonda, di riordinare i nostri ricordi, di trasmettere le nostre esperienze nel tempo e anche di immergerci in altre realtà, usando l’immaginazione.
In sostanza però una storia è lineare poiché la narrazione è un modo per riordinare un’esperienza che abbiamo vissuto oppure una modalità per intrattenere, insegnare o riflettere sulla realtà (presente, passata o futura). Nei media narrativi come per esempio un romanzo la linearità delle storie è però una potenzialità, infatti se la storia è sempre quella e non cambia mai è perché l’autore ha fatto delle scelte precise nel narrare quegli eventi, quelle situazioni, quei personaggi, quelle peripezie, con un determinato epilogo al fine di realizzare la migliore storia possibile. L’autore crea la storia e sceglie i modi e i tempi della narrazione proprio per stupire e coinvolgere il più possibile il suo pubblico.
Questo ragionamento però non può essere applicato ai giochi. Quest’ultimi infatti, in tal senso, sono l’opposto delle storie poiché essi sono dinamici e dipendono dalle scelte e le azioni del giocatore. Una partita in un videogioco, nello specifico, è un continuo divenire, è in costante mutamento, è come un fiume che scorre (come direbbe il filosofo Eraclito); ogni volta che l’attraversiamo esso si presenta in modo diverso, anche solo per piccoli dettagli (questo aspetto dipende ovviamente dalla libertà che viene concessa al giocatore).
Potremmo mai decostruire e spiegare una partita di calcio come una storia? Il punto è che ogni performance è sempre diversa, è un sistema completamente dinamico. E la spettacolarità dell’evento dipende solo dai giocatori e le loro abilità. Solamente dopo che questa miriade d’azioni possibili è stata definita dai giocatori e si sono verificati una serie di situazioni, si può narrare sotto forma di storia un’esperienza cosi dinamica come il calcio.
D’altronde Jasper Juul nella sua opera “A clash between Game and Narrative” , ribadisce il concetto che non può esistere interattività e narrazione nello stesso tempo perché è impossibile influenzare qualcosa che è già successo. Eppure alla luce dei fatti deve comunque esistere un legame tra storie e giochi. E riflettendoci bene, se è vero che attraverso il gameplay creiamo sequenze di azioni e performance sempre diverse è altrettanto vero che tutto ciò può essere raccontato attraverso delle storie. Infatti dopo aver vissuto la nostra personale esperienza nel videogioco, abbiamo realizzato una sequenza definita di eventi che quindi diventano una storia vera e propria. Quindi, in un videogioco (riferendoci al gameplay) possiamo parlare di narrazione solo dopo l’intervento del giocatore nello spazio di possibilità. Perciò è quest’ultimo a creare una buona parte della storia, a riempire gli “spazi lasciati vuoti” dall’autore, egli è dunque un co-creatore dell’opera. Si badi bene però che esiste una netta distinzione tra l’esperienza (vissuta nel gioco) e la storia (che nasce dopo l’esperienza e costituisce una modalità per riviverla e analizzarla).
Un videogioco come Halo 4, con una raffinata Intelligenza Artificiale e una buona libertà d’azione è in grado di dare vita a partite e performance sempre diverse.
Apple ha depositato (intorno al 2010) il brevetto di una tecnologia in grado di estrapolare dati da un videogioco per creare un fumetto. L’idea alla base del progetto è un’applicazione in grado di connettersi al videogioco, da cui estrapolare immagini, azioni e dialoghi, e poi organizzarli in una struttura logica per creare un fumetto o un e-book personalizzato. Questa idea non fa altro che evidenziare la dinamicità dei video-giochi dove gli eventi nel gameplay dipendono dalle scelte e dalle azioni del player, dall’intelligenza artificiale, dalla casualità e dalle possibilità offerte. Perciò in questo senso, l’esperienza di gioco può dar vita, successivamente, a una storia da raccontare. Anzi in un videogioco le possibili storie che nascono dal gameplay possono essere una miriade, idealmente un’infinità.
In definitiva, la verità sta nel mezzo. Infatti nei videogiochi possiamo parlare di narrazione e storie riferendoci:
- Alle situazioni e agli eventi prestabiliti dagli autori che ovviamente influenzano il gameplay,
- Alla situazione iniziale, allo svolgimento e alla situazione finale tipica di tantissimi videogiochi moderni narrata attraverso altri media come cutscenes, testo, suoni e immagini …
- Il termine narrazione è addirittura applicabile alle ambientazioni, ai dialoghi e ai personaggi del videogioco che sono comunque prestabiliti dagli autori. Le ambientazioni ci “raccontano” dettagli e elementi ulteriori, Henry Jenkins (teorico neutrale dei game studies) osserva come le realtà virtuali sono “architetture narrative”. Anche se è più corretto parlare di world-building (costruzione di mondi fittizi) che è comunque presente nel termine storia e narrazione, infatti se consideriamo il capolavoro della letteratura fantasy “Il Signore degli Anelli” (tanto per fare un esempio famoso) esso presenta insieme alla storia, una dettagliata ricostruzione del mondo immaginario fatto di una miriade di elementi. In una storia del resto, sono presenti personaggi, eventi, situazioni e in generale veri e propri mondi o micro-universi.
- Alla struttura tipica di moltissimi videogiochi (ma non tutti necessariamente) basata sulla vittoria (la risoluzione delle peripezie, dei problemi e il continuo del gioco fino all’epilogo prestabilito) o la sconfitta (la morte del nostro alter-ego e la necessità di ricominciare da capo per poter continuare l’avventura).
Per quanto riguarda invece il gameplay vero e proprio, esso deve essere considerato come il linguaggio che permette di creare un’esperienza personale e originale per ogni giocatore. Dove l’artista è anche il player stesso, che contribuisce a creare e definire l’opera, attraverso gli strumenti forniti dai designers. In ultima istanza la dinamicità dei videogiochi costituisce l’elemento antitetico alle storie, proprio perché essi sono innanzitutto simulazioni e mondi finzionali dove vivere delle esperienze virtuali. Quando parliamo di gameplay non si può parlare di narrazione e storia, perché altrimenti si commetterebbe un grave errore di incomprensione del medium stesso.
E per gli ipertesti e le cosiddette narrazioni interattive? Alle luce di quanto abbiamo visto e considerato una narrazione non può essere interattiva ed è chiaro che ci troviamo di fronte a un paradosso. Ed è pur vero però, che un ipertesto narrativo può essere visto come un insieme di storie con la possibilità di scelta che viene effettuata dall’utente. Quindi abbiamo delle possibilità di scelta e una (sia pure flebile) interazione diretta con l’opera, elementi questi che avvicinano l’ipertesto al gioco. D’altronde alcune opere con questa struttura vengono chiamate (non a caso) Libri-Gioco. E tenendo presente che già i primi giochi regolati (come il Senet databile al 3300 a.C.) erano degli spazi di possibilità e di scelta (quindi con una struttura in gran parte simile a quella di un ipertesto) la narrativa ipertestuale e interattiva (nata invece dopo) è da considerarsi una forma di gioco.
La nostra analisi non finisce certo qui però, perché se vogliamo avere una summa davvero completa sulle relazioni, gli elementi e le differenze tra storie e giochi; dobbiamo anche osservare quanto il gioco e gli aspetti ludici siano presenti nelle storie stesse. Una decostruzione interessante che vi mostreremo sicuramente in un prossimo articolo, approfondendo arte e gioco.
A presto! Commentate pure