Quando ero piccola ero una bambina vivacissima, i miei giochi preferiti erano all’aria aperta, forse perché per troppo tempo ero costretta a stare in casa, nel piccolo appartamento nel cuore di Milano, così quando potevo uscire mi piaceva correre, arrampicarmi sugli alberi.
Ogni tanto mia madre cercava di limitare la mia vivacità invitandomi a fare giochi un po’ meno da “maschiaccio”, ma non amavo giocare “alla mamma”, benché avessi un numero esagerato di bambole, e neppure giocare “alle signore” perché mi annoiavo ad imbandire tè immaginari per immaginarie invitate.
Se proprio dovevo stare ferma adoravo giocare “a maestra” e il gioco consisteva nel radunare quanti più bambini (possibilmente più piccoli di me) potevo, a metterli seduti su precari banchi di scuola e ad impartire loro lezioni di scrittura e di lettura.
Nella mia fantasia non riuscivo ad immaginare nulla che non fosse un’insegnante di italiano e spesso penso che questo gioco, che facevo molto seriamente, abbia influenzato molte delle mie scelte di vita seguente.
Così, venerdì prossimo, ricomincerò a giocare e, dopo aver radunato in una classe ben venticinque bambini (tutti sicuramente più piccoli di me), riprenderò l’eterna magia dell’insegnamento.
Forse per questo amo tanto insegnare: perchè la scuola realizza i miei sogni di bambina.