Una dottoranda romena mi ha contattato via linked-in. Mi ha chiesto di partecipare a una ricerca rispondendo a un questionario. Il lavoro verte sulla percezione del manager dentro gli eventi. Ho trovato alcune domande molto interessanti.
In modo particolare mi ha affascinato un punto di vista dentro il quale mi ha letteralmente cacciata. Un prisma spazio-temporale dal quale osservare il mio lavoro.
Mi ha chiesto cioè di distinguere le tre fasi dell’evento (pre-evento, l’evento e il post-evento) e due dimensioni: tempo e spazio.
Penso che sia condivisibile pensare a un evento come a qualcosa che accade in un dato tempo e dentro uno spazio limitato. Il tempo è effimero, nel senso che l’evento esiste tra un prima e un dopo. Lo spazio subisce di conseguenza una trasformazione dovuta a questa temporalità limitata.
La domanda precisa del questionario era:
Qual è la sua esperienza di tempo e di spazio nelle tre diverse fasi dell’evento?
Per rispondere devo chiarire quale è la definizione che io dò alle tre dimensioni.
Il confine tra post-evento e pre-evento, per chi lavora a un evento annuale e ricorrente come me, è, infatti, sfumato. Lavorandoci tutto l’anno e ogni anno, il post-evento diviene quasi subito un pre-evento . Pertanto, nella mia personale percezione di queste tre fasi, rilevo questa distinzione:
- Pre-evento: fase di progettazione
- Evento: fase di implementazione ed evento vero e proprio.
- Post-evento: fase di analisi, feedback, de-briefing
Partiamo dunque con il gioco!
Qual’è la mia esperienza del tempo e dello spazio nel pre-evento?
Tempo: è meravigliosamente dilatato, le scadenze sono lontane. È la fase del riposo mentale, della ricerca. È il periodo più creativo dell’anno. Non incombono appuntamenti né dead-line e la mente può scegliere i suoi tempi per essere produttiva.
Spazio: è meravigliosamente libero. Il luogo dell’evento torna alla sua veste ordinaria, il mio ufficio si fa calmo. Anzi, in questa fase di pre-evento il mio ufficio è ovunque: alla scrivania, in una città, nel bosco, a casa.
Mi viene in mente un articolo che racconta molto bene questa fase, quella progettuale e ne riporto uno stralcio: “É risaputo, infatti, che nelle menti dei creativi le idee si formino per caso, tra una sigaretta e un caffè, uno spritz e una chiacchiera, un pisolino e un filarino, un happy hour e un dirty week end, addensandosi in nuvole progettuali i cui piovaschi precipitano sui desktop Apple con la stessa naturalezza con cui a Woolsthorpe Manor le mele si frangevano sul cranio di Isaac Newton”.
Qual è la mia esperienza del tempo e dello spazio nell’evento?
Tempo A – fase implementativa: il tempo è scandito in modo scientifico su una finestra Outlook. Riunioni, presentazioni, sopralluoghi. È quadrato e rigoroso. Le ore della giornata, nelle tabelle guida, indicano ogni singola attività, dagli incontri, alle mail, al lavoro di concentrazione. È il tempo dell’orologio al polso e delle priorità o delle urgenze. Il tempo delle regole e dell’autodisciplina.
Spazio A- fase implementativa: lo spazio è il luogo esteso dell’evento, l’ufficio e la sala riunione, la valle, la provincia. Eventuali salti in spazi diversi sono brevi e finalizzati all’evento. Per me, per il mio lavoro, in questa fase lo spazio è montagna.
Tempo B – evento vero e proprio: Outlook sparisce. Il tempo si restringe in un attimo e tutto accade contemporaneamente. È l’onda che arriva, l’onda che ha vita breve e va cavalcata con abilità subito, immediatamente. Farla passare senza cavalcarla significa fallire. La sveglia è all’alba. Il letto mi rivide a tarda sera. È il tempo in cui la sveglia deve suonare. E il tempo in cui anche se non suona, gli occhi alle 6.00 si aprono da soli. È come un casello autostradale nelle ore di punta. Migliaia di puntini che scorrono nello stesso istante e nello stesso … spazio
Spazio B – evento vero e proprio: lo spazio si riduce metaforicamente al casello autostradale delle ore di punta. È un triangolo tra ufficio, area di gara, e venues satelliti. Il mondo si restringe, da globale nel pre-evento diviene un villaggio di quattro cantoni. L’universo scompare. Esistono solo quel punto e quel luogo.
Qual’è la mia esperienza nel post evento?
Tempo: il corpo e la mente sono ancora dentro il tempo schizzato dell’evento e mi costringo a riportarlo nella scia dilatata. È una transizione tra il tutto subito e il rispettare scadenze e outlook senza dover tuttavia cavalcare onde. La carovana è passata. Il tempo naturale riprende vita. È il tempo del sollievo. Del disattivare la sveglia, del costringersi a fare con calma.
Spazio: è una piazza dopo il mercato. Ci sono pezzi e avanzi ovunque che vanno buttati via o immagazzinati. Lo spazio nel post-evento è decadente. Visivamente fa vedere come, là dove prima c’è stata vita, ora non c’è più nulla. Ed è transizione dal casello autostradale delle ore di punta ai boschi silenziosi e ai meleti di Isaac Newton.
Nei primi anni, questo spazio era intriso di nostalgia, di un senso di vuoto, di abbandono. Oggi è lo spazio del sollievo, del pregustare gli spazi globali.
Passo la mano, il gioco a voi.
Rubando queste domande alla studentessa romena, spero di riuscire a stimolare via linked-in o in questo post una risposta collettiva, o meglio una risposta orchestrale. È vero infatti che tempi e spazi in un orchestra sono diversi per ogni singolo strumento e la percezione del prodotto finale, per quanto armonica, cambia per ogni singolo strumento. E allora:
Qual è la vostra percezione di tempo e spazio nel pre-evento?
Qual è la vostra percezione di tempo e spazio durante l’evento?
Qual è la vostra percezione di tempo e spazio nel post-evento?
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