Il Vittoriano dedica un’interessante antologica a Giorgio Morandi (1890/1964); un originale artista italiano del ‘900 che ha portato avanti la sua poetica con costante rigore e caparbia tenacia. Dopo quarant’anni dall’ultima mostra postuma del 1973, realizzata alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma e curata da Cesare Brandi, vengono proposte al pubblico le opere d’importanti collezioni pubbliche e private che consentono una ricca panoramica di questo maestro bolognese, ormai noto a livello internazionale. Tra gli estimatori dell’artista lo storico Roberto Longhi, che fu suo amico ed esegeta.
Morandi è la natura morta. Mille modi di coniugare l’immagine di un oggetto che appare sempre uguale, ma che è invece segno e simbolo del tempo che passa. Le opere morandiane si muovono nel tempo e nella storia con le loro peculiarità. L’artista seppe guardare, come in un cannocchiale, la realtà e il passaggio degli stili: dal naturalismo al futurismo, dal cubismo alla metafisica fino ad arrivare a un suo linguaggio personalissimo, che non si può confondere o assimilare a nessun altro.
Morandi si considerava un incisore, tecnica che ha insegnato per molti anni. Una tecnica dove la trama fitta a linee intrecciate della sgorbia lascia improvvisi spazi vuoti, immagini definite per assenza d’immagini che colpiscono il fruitore che s’interroga sulla loro funzione. Opere semplici, seppur misteriose nella loro quasi aniconica semplicità; riflesso di un profondo lavoro intellettuale. L’artista ci consegna la sua versione del mondo come mediata da convessi specchi fiamminghi. Un mondo volumetrico e concreto, dove la realtà non cede il passo alla fantasia. Dove i colori terrosi e tonali sono i protagonisti di atmosfere che rimandano all’hortus conclusus delle città medievali. Dove gli oli, ai limiti dell’affresco, ci consegnano un artista quieto e rigoroso che sappiamo amante di Paolo Uccello, Piero della Francesca e Masaccio, fino ad arrivare a Caravaggio, per il quale compie un viaggio a Roma. Coraggioso è il suo stile fuori e oltre le mode; oltre qualsiasi regola di composizione che prevede un’alternanza d’altezze, di pieni e vuoti, di ritmi compositivi molteplici e variati; Morandi invece ci propone spesso linee di demarcazione superiori, che sono tutte stranamente allineate come compresse in uno spazio concettuale molto più angusto dello spazio del quadro. I suoi temi, essenzialmente bottiglie, paesaggi fiori e conchiglie, in molteplici posizioni, ma sempre apparentemente uguali, non stancano mai. Monotonia che assurge a elegia del mondo. Morandi, sottolinea la curatrice della mostra Maria Cristina Bandera, non amava essere considerato un pittore, preferiva essere chiamato professore, perché tale si sentiva.
Nel 1930 ottiene, per chiara fama, la cattedra di Incisione all’Accademia di Belle Arti della sua città. Pienamente cosciente del proprio ruolo e del proprio valore non ha mai cambiato la sua direzione. Non uscirà mai effettivamente da Bologna; non ha mai avuto bisogno del fuori, dei luoghi altri da sé, per impalmare la sua Musa che, sebbene locale e apparentemente poco espansiva, gli ha consentito di rendere la sua produzione ben centrata su un preciso e affascinante mondo poetico ed espressivo.
Conosce le opere di Picasso e Braque, e personalmente De Chirico e Carrà, ma, salvo alcuni episodi, non devia dalla sua linea stilistica. Le sue elegiache nature morte non hanno bisogno di referenti, bastano a se stesse, come basta a se stesso quest’uomo caparbio e schivo. Nota al margine, in occasione di un’importante mostra dell’artista in America, lo stesso Obama ha intercesso per il prestito di un’opera di Morandi dalla collezione di Whashinton al Metropolitan Museum di New York.
La mostra, con l’alto Patronato del Presidente della Repubblica e patrocinata da tutte le più alte istituzioni dello stato, propone, in un percorso tecnico, tematico e cronologico più di cento opere del maestro. Organizzazione: Comunicare Organizzando. Fino al 21 giugno 2015.
Alessandra Cesselon