On the road again
Giorgio Olmoti
Roundmidnight edizioni
Un linguaggio sconclusionato che contiene diversi semi di riflessione, belle fotografie di un passato vicino e lontano. Ci siamo chiesti più volte quanto abbia importanza il modo di comunicare nello scrivere un libro, il linguaggio. Ci vengono in mente molti scritti di Saramago che ignorano la punteggiatura e costringono ad essere completamente attenti per riuscire a capire quello che vuol dire. Forse la punteggiatura non è tutto, forse il linguaggio non è tutto, forse è solo una questione di pigrizia. E ci chiediamo: ma il lettore, questo sconosciuto, che affonda nelle parole scritte dall’Autore, ha qualche diritto? Certo, quello di chiudere il libro e rimetterlo nella libreria, però immaginiamo che un Autore voglia essere letto, allora il linguaggio ha un qualche significato.
Saramago voleva essere letto? Certamente sì e provocava. Quindi accettiamo la provocazione di Giorgio Olmoti e continuiamo la lettura, tornando in dietro diverse volte per vedere se abbiamo capito. I racconti si snodano nel senso letterale “on the road”, s’intrecciano con le belle fotografie che citavamo, ma l’ironia la fa da padrona sempre. Ironia sulla società, sui giovani, gli anziani ed anche su chi scrive. Ci piace l’ironia, la sua lama tagliente e affilata come un bisturi, ci procura spaccati della realtà storica che altrimenti rimarrebbero nascosti e in questo Olmoti è bravo.
Un’ironia feroce e dissacrante ma poi scopri che nelle sue pieghe si nascondono bave di poesia, come una lumaca che lascia la sua scia, perché chi è attento la segua.
Ci ritroviamo perciò anche noi on the road again, senza soldi con la macchina che si guasta o su un’aia di uno sperduto casolare immersi nella merda di vacca, siamo nel castagneto del dentista Artos, dentista sui generis. Ci guardiamo intorno in una cucina piena di mobili, “un Vittoriale pop”, o ci sediamo al bar “dopo una giornata caricata a sale e sparata nella schiena”. Con l’immancabile 127 verde, o con una bici sgangherata, mentre “i soldi erano una cosa che più che altro intuivamo”, ci catapultiamo alla ricerca di pioppini per sfamare la tribù. Giriamo per le corsie del supermercato con la vita nello zaino, “in culo al gelo che fuori se la tira da boss del quartiere”, rubando microstorie dalle facce e dai carrelli della spesa, oppure scriviamo una lettera aperta al signor Timberland. Ci infiliamo sotto un architrave per il terremoto, oppure leggiamo bigliettini con scritto “Gesù sta arrivando”. Ci introduciamo in un ospedale, insomma siamo dentro una variegata umanità vista sempre dallo stesso occhio attento.
In definitiva il libro ci piace, nonostante le difficoltà e la costante rilettura all’indietro che ci dà quest’andatura forse un po’ marziana, come i personaggi che sembrano appartenere ad un altro pianeta e invece sono assolutamente nostrali.
“Del resto sono il più grande narratore di insuccesso che la storia delle storie ricordi e quindi il cerchio si chiude”, l’Autore fa dire a un personaggio, e qui non siamo d’accordo.
Maria Vittoria Masserotti