Amp rende più veloce la navigazione da cellulari e tablet, contribuendo al tempo stesso a tutelare i ricavi dell'editore. Al momento sono 160 editori che hanno adottato AMP, di cui in Italia: Corriere, Repubblica,
Stampa, Ansa, Sole 24 Ore, Fatto Quotidiano, Sorrisi, Tuttosport, Blogo. Ma è facile prevedere che l'elenco crescerà di settimana in settimana, dato che il progetto è open source e qualsiasi editore può partecipare, senza bisogno di un accordo preliminare con Google.
Come funziona AMP
Il nuovo protocollo è stato studiato con l'obiettivo di dare la giusta efficienza all'informazione online. Un risultato che si basa su due nuovi fattori: i potenti server di Google, distribuiti in tutto il mondo, e nuovi algoritmi di compressione dati. Le due cose insieme fanno di AMP una soluzione di nuova generazione, per giornali e giornalisti.
Gli editori che hanno deciso di adottare lo standard pubblicano normalmente gli articoli, ma sui server di Google. I lettori non si accorgono della derivazione, ma della velocità di risposta sì. Infatti, le pagine AMP su un telefono con connessione 3G (nonostante le incertezze), dovrebbero caricarsi quattro volte più velocemente. Ma AMP è anche altro: come detto, è un nuovo protocollo che riduce del 90% i dati da trasmettere per far visualizzare una pagina testo-foto.
Ultima buona notizia: AMP è un open source, cioè un formato aperto a chiunque lo voglia utilizzare. Il codice sorgente, in continua evoluzione, è già disponibile su GitHub, una piattaforma free per gli sviluppatori.
L'idea che oggi chiamiamo AMP è nata nell'ambito della Digital news initiative (Dni), l'associazione fondata la scorsa primavera da Google e da otto testate europee ( La Stampa, Faz, Die Zeit, El Pais, The Guardian, Financial Times, Les Echos e Nrc), per rispondere alle esigenze specifiche dell'informazione online. Tra gli editori internazionali che hanno contribuito ci sono anche Bbc, New York Times, Washington Post, Buzzfeed (!). Tra le piattaforme digitali finora hanno aderito Twitter, Pinterest, Linkedin, WordPress, Parse.ly e Chartbeat.
Angela Petrocchi