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Giornalismi: chi sono i “semplici cittadini”?

Da Pinobruno

 

Ascolto alla radio – il giornale di Rai Radio 3 in questo caso – la cronaca della cerimonia religiosa a Santa Maria di Trastevere per commemorare i ragazzini rom morti nel rogo della loro baracca. La cronista cita i presenti: c’era questo, c’era quello, e poi aggiunge…”c’erano anche moltisemplici cittadini”. Ora, dopo trent’anni e passa di giornalismo attivo, questa cosa del “semplice cittadino” continua a farmi incazzare. Provo a fare l’esegesi del testo. 

Giornalismi: chi sono i “semplici cittadini”?

Le parole sono pietre, scriveva Carlo Levi... vanno maneggiate con cura.

Dice il Devoto Oli 2011 che l’aggettivo semplice  significa “Privo di complessità, con sfumature che vanno dalla facilità all’immediatezza elementare, dall’essenzialità alla naturalezza, dallasobrietà  alla modestia, dall’ingenuità alla dabbenaggine….non è che un semplice caporale…”.

Ora, non voglio pensare che la cronista volesse alludere all’ingenuità, alla modestia o alla dabbenaggine dei cittadini presenti alla cerimonia. Mi piacerebbe propendere per l’accezione alla sobrietà, contrapposta, evidentemente, all’assenza di sobrietà dei “cittadini speciali” (autorità civili, militari e religiose). In tal caso, però, si evincerebbe una critica velata ai potenti, che escludo essere nelle intenzioni della giornalista.

E allora? Questo mio forse inutile post intende solo sottolineare l’abuso degli stereotipi nel linguaggio delle cronache, zeppo di “laghi di sangue”, “tragedie della follia”, “cronache di disastri annunciati” e via deprimendo. Un po’ più di sobrietà  lessicale non guasterebbe. Le parole sono pietre, scriveva Carlo Levi, vanno maneggiate con cura.

Siamo cittadini e basta, gentile collega. Né semplici, né speciali, ne sudditi, né caporali.

Per ascoltare il servizio, cliccare qui e posizionarsi sulla barra del tempo a 00.09.57


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