di Rina Brundu. Non so se avete seguito questa vicenda. È cominciata un paio di giorni fa quando sul Manifesto è comparsa la vignetta di Vauro titolata “La ministra squillo”. Protagonista della stessa era il ministro Elsa Fornero, vestita come una bella-di-notte in attesa di una telefonata da parte della Fiat-made-in-Marchionne che avrebbe dovuto chiarire le dinamiche future del gruppo.
Commentando tale creazione il ministro avrebbe parlato di “una vignetta vergognosa”. E avrebbe aggiunto che la caricatura è lesiva della dignità della donna in quanto denoterebbe il “il maschilismo persistente, volgare e inaccettabile, di alcuni uomini”. Sebbene concordi nella maniera più totale con la necessità di tenere alta la guardia nei confronti di qualsiasi atteggiamento (pensiamo per esempio al throllismo digitale, con i suoi aneuronici adepti o adepte), nocivo della onorabilità femminile, non ritengo che la specifica faccenda possa rientrare in alcun modo dentro le dinamiche di queste situazioni perniciose. Au contraire, ho trovato questa vignetta vauriana finanche esteticamente bella, nutrendosi di situazioni rabelaisiane da “basso” corporeo che ben si prestano a raccontare le vicende economiche e politiche da una prospettiva satirica.
In un tempo in cui la satira e chi la produce è più che mai nel mirino del fondamentalismo più sfrenato sarebbe dunque bello se i nostri politici, uomini o donne che siano, dessero il buon esempio e facessero buon viso a cattivo gioco: del resto gli operai con cui nei mesi scorsi la ministra Fornero ha dovuto confrontarsi per questioni ben più urgenti il buon “viso a cattivo gioco” lo hanno fatto. E non solo. Hanno fatto finanche quei sacrifici la cui sola menzione del nome muoveva al pianto la Fornero. Ma in tempi di crisi la satira diventa ancora più importante perché è proprio attraverso il suo spirito dissacrante che, quando il mondo crolla loro addosso, gli esseri più dotati riescono comunque a metterne in evidenza gli aspetti ludici, irriverenti. Del resto di questi elementi si nutre il gioco dell’intelligenza, nonché della soddisfazione che dà il tentare di capire le motivazioni importanti del nostro esistere. E delle prove, anche ardue, che porta seco.
Se debbo essere sincera però, molto più della vignetta vauriana muove ad un dato sorridere sardonico, ironico, pungente, a suo modo beffardo, la recente apertura giornalistica verso Alessandro Sallusti, direttore de Il giornale, da parte di Marco Travaglio. Il vicedirettore de Il Fatto Quotidiano ha infatti dedicato un editoriale a difesa del vecchio-amico-nemico davanti al quale – per la responsabilità editoriale che aveva al tempo di una vecchia vicenda di diffamazione e successiva querela – si paventa la possibilità del carcere. Trovo incredibile che si debba parlare di “carcere” per una tal situazione in un sistema garantista come il nostro. Fermo restando che la possibilità di querela deve restare un diritto acquisito di tutti noi, un diritto con cui proteggere la parte-migliore-del-nostro-essere, lo stesso diritto dovrebbe pur sempre contemplare una finestra-aperta, una via di fuga. Diversa. Trattabile. Quella che sempre scelgono gli uomini e le donne davvero capaci, forti della loro fibra morale, della loro onestà interna e che temono le offese dei throlls (che non è certo il caso di Sallusti!), come un’abbuffata di panna montata teme l’ombra di una cacca di mosca!
Per favore salviamo il soldato Sallusti che quest’inverno il bello-giornalistico deve ancora venire!
Featured image, François Rabelais, fonte Wikipedia.