Qualche solerte critico letterario ci tiene spesso a far sapere che taluni avventurieri delle vecchie storie pulp non sono credibili, perché nessuno può fare certe cose, né può vivere esperienze tanto estreme e assurde come quelle che ci raccontano i romanzi di genere.
Questi critici evidentemente non conoscono la storia di William Seabrook (1884-1945), un coraggioso pazzoide che sperimentò cose tanto bizzarre, pericolose e inquietanti da surclassare anche i più ardimentosi autori di narrativa pulp.
Del resto come meglio definire un ex volontario della Prima Guerra Mondiale, rimasto ferito dal gas tossico nella battaglia di Verdun, e in seguito diventato giornalista per il New York Times, esploratore del Terzo Mondo, satanista, studioso di vudù, scrittore e cannibale?
Seabrook, personaggio assolutamente singolare e atipico, era mosso da una feroce, insaziabile curiosità verso gli aspetti più selvaggi ed estremi della variegata umanità che abita il nostro pianeta.
Fu amico dell’occultista Aleister Crowley e occultista a sua volta.
Viaggiò in Arabia, al seguito di beduini e di adoratori del Diavolo curdi. Da questa esperienza ricavò un libro di successo (Adventures in Arabia: among the Bedouins, Druses, Whirling Dervishes and Yezidee Devil Worshipers), coi cui proventi si pagò la successiva spedizione, ad Haiti.
Qui lavorò al suo nuovo saggio, The Magic Island, un trattato che approfondiva gli aspetti, allora poco conosciuti in Occidente, del vudù e del culto dei morti. Proprio grazie a questa indagine – e quindi a Seabrook – il termine “zombie” (che è di origine Bantu, solo in seguito storpiato in caraibico) venne citato per la prima volta nei giornali e nei libri anglofili.
In seguito viaggiò nelle regioni più misteriose e selvagge del Mali, studiando il misticismo e le tradizioni di antiche e semisconosciute tribù. Si fermò più del dovuto, dedicando molto del suo tempo anche all’osservazione e all’analisi delle colonie francesi in Africa.
Nel 1933 tornò in America, dove si fece internare in una clinica per pazienti affetti da alcolismo patologico. Vi rimase per qualche mese e ne approfittò anche per scrivere un diario di questa esperienza, Asylum, che divenne un altro dei suoi best-seller.
Purtroppo la frenetica personalità di cui Seabrook era dotato lo portò a una morte violenta. Nel 1945 si suicidò tramite un’overdose di droga. A nulla era servito il matrimonio con la scrittrice americana Marjorie Muir Worthington, sposata nel 1935.
L’episodio più inquietante della vita del nostro buon William riguarda il cannibalismo.
Ansioso di scoprire il gusto della carne umana, Seabrook tentò di farsela spiegare da alcuni stregoni della tribù Guere (Africa dell’ovest). Non soddisfatto dalle risposte, comprò di frodo qualche etto di carne umana, corrompendo un infermiere dell’ospedale universitario della Sorbona. Lo cucinò, provò il manicaretto e ne scrisse le impressioni.
Nonostante questi interessi estremi, Seabrook rimase fino alla fine un razionalista. Non trovò mai qualcosa di veramente riconducibile alla magia o al trascendentale. Tutto, zombie compresi, era riconducibile a qualche spiegazione scientifica.
Forse fu proprio l’incapacità di trovare qualcosa che sfuggiva alla logica, un appiglio verso una realtà invisibile e mistica, che lo proiettò in un abisso sempre più profondo di autolesionismo.
Chissà…
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(A.G. – Follow me on Twitter)