Cision e la Canterbury Christ Church University hanno pubblicato i risultati di “The Social Journalism Study”, rapporto giunto alla quarta edizione su uso e consumo dei social da parte dei giornalisti.
Il rapporto si basa su 3mila rispondenti di 11 nazioni diverse, Italia inclusa, ma a causa del numero non statisticamente rilevante degli intervistati in alcuni Paesi, compreso il nostro, i risultati sono relativi a USA, Australia, Germania, Regno Unito, Finlandia e Svezia. Quanto emerge è d’interesse sia sotto il profilo strettamente giornalistico che per chi su occupa di comunicazione e public relations.
Lo studio, in base all’utilizzo ed al vissuto dei social, identifica 5 archetipi, 5 categorie di giornalisti:
- Scettici: Coloro che meno utilizzano, o non utilizzano del tutto, i social e sono maggiormente critici al riguardo
- Osservatori: Coloro che utilizzano i social con bassa intensità
- Cacciatori: Coloro che utilizzano i social alla ricerca di informazioni utili per il proprio lavoro
- Promotori: Coloro che usano i social con frequenza e intensità; esperti nell’utilizzo
- Architetti: Esperti nell’uso dei social, early adopters e creatori di contenuti
I principali risultati emergenti, corredati da un mio personalissimo commento, sono:
- Gli scettici e gli osservatori continuano ad essere la maggioranza tra i giornalisti. Pesano il 53% del totale [erano il 57% nel 2012]. Segnale inequivocabile di resistenza al cambiamento.
- Il numero di giornalisti che non usa del tutto i social passa dal 12% del 2012 all’attuale 6%, con il 67% del totale che li usa sino a due ore al giorno. Elementi che riflettono come di fatto i social siano sempre più parte integrante del lavoro giornalistico.
- Circa la metà dei rispondenti è convinta che non riuscirebbe a fare il proprio lavoro senza i social e il 57% ritiene che i social abbiano migliorato la propria produttività. L’altra metà ha comprato un calendario perpetuo per calcolare se arriva alla pensione?
- I giornalisti delle nazioni in cui l’inglese è la lingua nativa sono più interattivi e creano maggiori contenuti. Aspetto che è legato anche all’ampiezza dell’audience ed ai ritorni generati.
- Twitter e Facebook sono, ovviamente, i social più popolari, ma anche Google+ e Instagram hanno una buona base di utilizzatori tra i giornalisti. Molto basso invece l’uso di altri tool, quale ad esempio Storify, segno di comunque una generale bassa alfabetizzazione.
- Gli esperti di un determinata materia sono la fonte d’informazione chiave per i giornalisti. Interessante rilevare come, da un lato in Germania siano i dirigenti aziendali ad essere fonte privilegiata d’informazione mentre, dall’altro lato in USA & UK lo siano le agenzie di pubbliche relazioni.
- Le e-mail continuano ad essere il mezzo preferito dai giornalisti per essere contattati, segue il telefono. I social sono il mezzo di contatto preferito da un quinto dei rispondenti. Le PR tradizionali insomma continuano a dominare ma si aprono degli spiragli per le online media relations.
- Privacy e sicurezza dei dati sono in cima alle preoccupazioni. La tendenza a [pre]occuparsene è in netta crescita rispetto al passato. Maggior consapevolezza o maggiori pericoli effettivi?
- Capacità interpretativa ed analitica dei fatti, ruolo di “watchdog”, ma anche velocità di pubblicazione, sono i tre pilastri del lavoro giornalistico. I principi basici vanno al di là delle differenze culturali delle diverse nazioni prese in esame e riflettono i key pillars, o almeno quelli che dovrebbero esserlo, del giornalismo.
- Metà degli intervistati ritengono che i social abbiano minato, stiano influenzando negativamente, i valori fondamentali del giornalismo. Aspetto dietro al quale si nasconde “la fatica” relativa a nuovi metodi di lavoro e di relazionarsi con il pubblico.
Insomma, l’uso dei social da parte dei giornalisti matura, evolve, ma la strada da percorrere è ancora lunga.
