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Giornata della Memoria

Creato il 27 gennaio 2012 da Alboino
Giornata della Memoria
Nemmeno un anno fa ho avuto la fortuna di incontrare uno degli ultimi sopravvissuti all’inferno di Auschwitz: Nedo Fiano. E’ stato un incontro fortuito in cui per una buona mezz’ora sono stato in religioso silenzio ad ascoltare la sua storia e poi a dibattere su cosa è stato lo sterminio nazista. Ammetto che quella conversazione è stata più proficua di qualsiasi libro letto e di qualsiasi film visto a riguardo e nel momento in cui Nedo si è tirata su la manica della camicia per farmi vedere il numero di matricola di Auschwitz tatuato sull’avambraccio un brivido e un leggero straniamento ha invaso il mio essere.
L’odissea vissuta da Nedo, la si può leggere nel suo “Il coraggio di vivere”: libro dove racconta l’esperienza della cattura prima e del lager dopo vissuta tra il settembre 1938 data in cui in Italia vengono promulgate le leggi razziali e l’aprile 1945 quando Fiano (ri)trova la libertà. La cosa sorprendente nelle vicissitudini dello scrittore ebreo-fiorentino è che la sua intera famiglia, una decina di persone, furono tutte rinchiuse nel campo di sterminio di Auschwitz da cui si sarebbe poi salvato il solo Fiano. Eppure l’infanzia e la prima adolescenza erano trascorse in modo naturale nella Firenze degli anni trenta. Fiano apparteneva alla classica borghesia del luogo con il padre funzionario delle poste centrali e la madre che gestiva una piccola pensioncina. Nel settembre del 1938 all’età di 13 anni però per Fiano termina quella che lui considera vita e che non ha più trovato nemmeno dopo la liberazione. Infatti con l’entrata in vigore delle leggi razziali fu cacciato da scuola perché ebreo e di seguito con la sua famiglia cercarono rifugio presso parenti e amici finché a fine 1943 Nedo fu arrestato da italiani il 6 febbraio del 1944 e rinchiuso nel carcere delle murate. Da Firenze poi l’iter è quello ben conosciuto per gli ebrei italiani, si passa al campo di Fossoli e da qui il trasbordo ad Auschwitz il 16 maggio 1944 dove gli viene assegnato il numero di matricola A5405. Al momento dell’arrivo venne immediatamente separato da suo padre e dei suoi cari non seppe più niente; tutti gasati. Ma “Il coraggio di vivere” è importante non solo per la storia raccontata, ma soprattutto per la descrizione dettagliata della vita nei lager  e di quello che dopo tale esperienza si diventa.
“Porto con me – da sempre – l’odore, il buio, l’orrore e la ferita di quel tempo lontano. Lotto ancora e recito la parte di un uomo comune, come tanti altri. Ma sento spesso un inferno dentro, anche se cerco di apparire sereno e felice. (…) Da sessant’anni le mie mani sono sporche di quella terra maledetta di Birkenau – nulla può il sapore quotidiano della vita. Vivo spesso la contraddizione di apparire sereno – come in una scena teatrale – mentre nel mio corpo si agita un travaglio inestinguibile”.
“Quando io e papà siamo arrivati, appena scesi dal convoglio, siamo passati subito dalla selezione: da una parte la camera a gas e il forno, dall’altra il campo. Noi non siamo andati nella parte del forno. Siamo entrati nella quarantena, che era comunque un luogo di morte, le razioni erano dimezzate rispetto al campo, durava circa tre settimane e quando i prigionieri uscivano erano ridotti malissimo. (…) Io so cos’è uno sguardo nazista, uno sguardo vitreo, freddo. I nazisti ci guardavano come fossimo stati degli scarafaggi. E come per gli scarafaggi, nessuno prova ritegno a schiacciarli, così era per noi”.
Un incontro quello con Fiano che mi ha emozionato come pochi altri nella mia vita; ed è stato emozionante ascoltare la sua storia così come sono state belle le sue parole a proposito di una eventuale esistenza di un Dio malvagio a capo dello sfacelo della shoah. “Per me il grande miracolo su questa terra è la nascita, la procreazione. L’uomo cresce con un’intelligenza, una coscienza. Iddio, questa entità, è all’origine della nascita, poi l’uomo se la vede da sé, non possiamo credere che Dio intervenga nelle cose dell’uomo, perché allora dovremmo ammettere che su alcune interviene e su altre no. L’uomo è responsabile delle sue scelte, l’uomo ha il libero arbitrio. L’uomo ha la capacità e il potere di fare il bene e il male”.
E con queste parole e con le lacrime di Fiano che non ha saputo e potuto mantenere l’impegno ancor più tangibile da parte mia è quello di ricordare sempre alle generazioni più giovani quello che è stato.
     
Ma io non vi voglio parlare del carcere, non mi piace; il car­cere appartiene ancora alle cose comprensibili, intelligibili; an­che il campo di concentramento è un fatto comprensibile. Io vi voglio parlare del campo di sterminio, perché ve lo mettiate be­ne nella testa, perché il campo di sterminio è il fatto più dram­matico, più incredibile, più tragico che l'uomo possa vivere, è un allontanamento progressivo dalla vita, è la distruzione interiore dell'uomo.
Dunque vi parlerò di questo inferno, cosa era Auschwitz, sì, quello dell'«Arbeit macht frei». Auschwitz vuol dire soprattut­to forni crematori, vuol dire la sicurezza quasi matematica di non arrivare a sera..., non a domani, a sera.
«Un pidocchio — la tua morte»: ogni 15 giorni i prigionieri venivano sottoposti ad un attento controllo e chi aveva un pi­docchio veniva messo da una parte.
Dopo quattro ore era garantito cenere, né più né meno ce­nere, e tu sentivi la morte che ti scendeva dentro, ti sentivi svuotato, non eri più un uomo, eri già cadavere.
Nonostante quella disperata sofferenza, quelle aberranti condizioni, quando siamo usciti dal campo avevamo un gran bi­sogno di amore, un gran bisogno di ritornare ad essere quelli che eravamo stati, ma drammaticamente non è stato così perché non siamo più stati quelli che eravamo. Vi dirò con le parole estratte da una lettera dei condannati a morte della Resistenza:
«Com'è difficile dire addio per sempre alla bellezza della vita! Anche se il cielo fosse di carta e gli oceani del mondo fossero pieni di inchiostro, non basterebbero per scrivere il mio dolore, per descrivere ciò che accade intorno a me».
Ecco il grande dramma del deportato: accorgersi che la lin­gua non basta più a descrivere quelle condizioni aberranti e rendere quel mondo percepibile, tangibile.
Giornata della Memoria

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