Una delle tante ragioni per cui ho iniziato a scrivere riguarda la violenza sulle donne per raccontare, commentare, indignarmi sulle tante forme di discriminazione, abuso, maltrattamento, intolleranza contro la donna. Alcune abiette e lontane, altre più subdole e sottili.
Il femminicidio in atto è più evidente e denunciato, e non bastano solo le parole per fermarlo e interventi legislativi e giudiziari per reprimerlo. Occorre una cultura che promuova il rispetto dell’identità di genere, basata sull’affettività e sul riconoscimento delle rispettive diversità, emozioni e sentimenti, che insegni a trasporsi nell’altro, per prevenire la violenza non solo contro le donne, ma contro tutti coloro ritenuti diversi o comunque percepiti come contrapposti. La rabbia latente esplode con un’aggressività che rivela l’incapacità di gestire le proprie emozioni e riconoscere quelle altrui non solo in fondamentali svolte di vita, ma anche in occasione di una partita di calcio o di un parcheggio negato. Un delirio di onnipotenza ove l’altro viene annullato, in tutti i sensi.(da “Cicatrici di guerra:il Clan delle Cicatrici” in skipblog.it)
Prendiamo atto che le morti violente di tante donne non sono dovute a balordi, in preda ad alcool o droghe, ma il più delle volte a premeditazione di chi ha una mentalità che deve essere sradicata a livello socio-culturale, non solo da noi donne che stiamo acquisendo maggiore consapevolezza, ma soprattutto dagli uomini di buona volontà che non devono soltanto prendere le distanze a parole ma intervenire ogni qualvolta si imbattano in qualche farabutto che si sente più sicuro e potente opprimendo una donna con angherie. La violenza contro le donne è una questione MA-SCHI-LE. Le donne si sono emancipate. Ora tocca a voi, Uomini di buon volontà, sradicare quella subdola solidarietà di genere basata sul fingere di non vedere e di non sentire nei luoghi pubblici e di lavoro, nei condomini.
Ora, più di prima, spetta anche a chi opera nella scuola, e siamo tanti, a segnalare in modo riservato a chi di dovere (in primis al Dirigente scolastico, e alle forze dell’ordine) quando si appurino situazioni ad alto rischio di letalità.È un obbligo giuridico e morale, sicuramente scomodo, di ogni insegnante. L’omissione è perseguibile per legge. Nella scuola dell’infanzia e primaria spesso i bambini e le madri raccontano; nelle scuole secondarie di primo e secondo grado le ragazze a volte parlano: si può aiutare chi è in difficoltà per prevenire un inferno non solo alla donna ma anche ai figli.
In questi anni non mi sono sfuggite le tante, troppe, donne italiane e straniere morte, il più delle volte per mano di un uomo, più di rado per suicidio perché le violenze subite le avevano uccise dentro.
A marzo dell’anno scorso mi ha molto colpito la notizia del suicidio di Fakhra Younas , autrice del libro “Il volto cancellato”: volto, braccia, petto e soprattutto identità sfigurati con l’acido dal marito perché lei, giovane e bellissima, aveva deciso di divorziare da quell’uomo violento, possessivo e potente, condannato poi a pochi mesi di carcere. Fakhra fu aiutata dalla suocera a fuggire con il figlio in Italia e nel 2000 trovò aiuto a Roma nell’associazione Smileagain. Si sottopose a circa una quarantina di interventi chirurgici, ma certe ferite interne non si sono cicatrizzate e Fakhra, simbolo della ribellione delle donne del Pakistan, dell’ India, del Bangladesh e del Nepal, non ce l’ha fatta.
Una realtà non troppo lontana dalla nostra, visto che quest’anno qualche farabutto italiano ha adottato questa triste prassi. Proprio oggi una ragazza italiana, Lucia Annibali, ha ricevuto dal Presidente della Repubblica l’Onorificenza di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana per il coraggio, la dignità e la forza d’animo di reagire a un’aggressione con l’acido, commissionata da un talebano nostrano.
In India le donne sono insorte ma le violenze, anche contro bambine piccolissime, continuano; la giovane Malala Yousafzai, candidata al Premio Nobel per la pace, ha captato l’attenzione del mondo intero nel rivendicare i diritti civili e in particolare allo studio per le donne della città di Mingora (Pakistan), negati da un editto dei talebani.
In Italia ormai le donne denunciano di più le violenze subite e spesso pare che i media annuncino un bollettino di guerra. Non c’è giorno che non si senta di qualche donna, giovane e meno giovane, che non muoia per mano del marito, dell’ex , del fidanzato, del compagno, dell’amante o di un familiare. Non se ne può più. Il campionario maschile è variamente assortito, da Nord a Sud, per età ed estrazione socio culturale. Il problema non è tanto limitato, come si vuole fare credere, e la cosa che più mi preoccupa è scoprire da ciò che racconta mia figlia, poco più che ventenne, che alcuni ragazzi coetanei non vogliono che la lei di turno vada a studiare in un’altra città, che esca con le amiche quando lui si concede uscite o rimpatriate tra boys o che abbia interessi propri, e pretendono di essere continuamente aggiornati con telefonate e sms su ogni minimo spostamento.
Siamo nel 2013: se da ragazzina immaginavo che in un lontano futuro saremmo diventati una sorta di androidi senza nemmeno più una diversità di genere, perché l’istinto sarebbe stato soppiantato da menti evolutissimamente perse in altri meandri, oggi riconosco che per fortuna è rimasta l’identità di genere, ma in quanto ad evoluzione culturale non saprei proprio a che punto siamo arrivati.
Anche in Italia c’è tanto da riflettere e da fare per diffondere la cultura di genere. Lo dobbiamo alle vittime di abusi e maltrattamenti ma soprattutto alle oltre cento vittime che “non contano”, o contano molto, ma molto meno dei loro mariti, compagni, partner, padri che le hanno uccise. Contiamole e osserviamole una alla volta per non smarrire i loro passi e la loro storia. L’amore dona vita. I killer e i violenti non amano. Quelle donne hanno amato un uomo che non le meritava..
Il Campidoglio si accenderà di rosso, e tante iniziative sono previste nelle città italiane per dire “No alla violenza contro le donne” a ricordo delle vittime di ogni età e nazionalità. L’artista messicana Elina Chauvet, che ben conosce il femminicidio di Ciudad Juárez, ha importato in Italia le “Zapatos Rojos”, scarpe rosse, per non dimenticare il cammino interrotto delle tante donne uccise. Formano un percorso di solidarietà per quelle che in tutto il mondo hanno subito e subiscono violenza.
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