Gli impatti ambientali delle monocolture di alberi hanno diversi impatti sul suolo, sull'acqua e sulla biodiversità. Ma gli impatti più drammatici si registrano sulle comunità locali. Le loro terre ancestrali vengono dati in concessione a grandi aziende, scacciando popoli indigeni e piccoli contadini, spogliando queste comunità dei loro mezzi di vita.
L'occupazione del territorio da parte delle piantagioni assume le forme di un'occupazione militare. L'occupazione inizia con l'arrivo di rappresentanti dell'impresa che promettono pace, posti di lavoro, infrastrutture. Seguono funzionari governativi che annunciano come l'accordo firmato per le nuove piantagioni porterà numerosi benefici alla comunità locale, se sarà disposta a collaborare. Solo a questo punto inizia la distruzione vera e propria. Innanzitutto viene abbattuta la foresta ed eliminata la vegetazione locale, facendo ampio uso di macchinari e prodotti chimici. Quindi si fanno avanti colonne sterminate di alberi piantati in colonne senza fine.
Il tempo passa e le promesse non vengono mantenuti: alle comunità locali restano solo gli impatti ambientali e sociali. In caso di opposizione alle piantagioni, viene adottata la strategia del "devide et impera", mettendo una parte della comunità contro le altre. Se questa strategia non funziona, allora scatta il ricorso alla violenza: guardie private, avvocati, polizia, esercito vengono scatenati contro i contadini ribelli. In molti casi il sottoprodotto di questi conflitti sono le violazioni dei diritti umani, imprigionamenti, torture e omicidi.
Le monocolture su larga scala sono divenute ormai una guerra contro le popolazioni e la natura, come un'invasione di un esercito verde, che si abbatte sulle comunità locali e le distrugge, qualora tentino di difendere i propri diritti.