In Italia una donna su tre , tra i 16 e i 60 anni, ha subito violenza fisica, sessuale o psicologica (dati Istat).
Gran parte i questi reati non vengono denunciati.
Paura, vergogna, sfiducia, impotenza: le motivazioni sono molte, troppe.
Oggi 25 novembre è la data scelta dalle Nazioni Unite come Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne e ha anche realizzato un’infografica per aiutarci a comprendere meglio i numeri di questo fenomeno (è in inglese ma facilmente comprensibile):
Come per tutte le Giornate Internazionali, mi piacerebbe che non si parlasse del tema solo un giorno all’anno.
Soprattutto quando parliamo di contrasto alla violenza, non possiamo pensare di risolvere il problema con un paio di conferenze e qualche speciale televisivo.
Si tratta di un lavoro lungo e complesso, perché ancora troppi uomini ( anche molto giovani) reputano “normale” essere violenti su una donna. E troppe donne ritengono ovvio non denunciare o non mostrare solidarietà a coloro che vengono maltrattate.
Personalmente non mi piace utilizzare il termine femminicidio: mi sembra che riduca la donna a un mero oggetto di genere femminile. Un po’ come dire “è stata ammazzata una femmina” e finisce lì. Come se dimenticassimo di evidenziare il rapporto con il suo carnefice: un compagno, un marito, un padre, un fratello, un corteggiatore respinto, un ex. I numeri infatti ci dicono chiaramente che gran parte delle violenze avviene tra le mura domestiche.
Più che neologismi, necessitiamo di leggi che vengano applicate e che tutelino le vittime.
Così come ci indigniamo (giustamente) per le stragi del terrorismo, dobbiamo indignarci anche per questo tipo di stragi più silenziose e quotidiane. Sì, dobbiamo perché è nostro dovere mostrarci umani: è ciò che lasceremo in eredità alle generazioni successive.