Sperando di essere anche un po’ d’aiuto ai maturandi per il ripassone generale, oggi il post dedicato ai premi Nobel è tutto per Giosuè Carducci. Lo scrittore e poeta toscano vinse l’ambito riconoscimento nel 1906, quando il nostro paese si chiamava ancora Regno d’Italia, con la seguente motivazione: “non solo in riconoscimento dei suoi profondi insegnamenti e ricerche critiche, ma su tutto un tributo all’energia creativa, alla purezza dello stile ed alla forza lirica che caratterizza il suo capolavoro di poetica”.
Bio
Carducci trascorse l’infanzia e l’adolescenza nella Maremma toscana, caratterizzata da un’ambientazione quasi desertica che fece riaffiorare in lui le memorie delle antiche civiltà. In questo contesto egli imparò a sentirsi in comunione con la natura, portatrice di vita ma anche di morte. Nell’età adulta partecipò con veemenza alla vita politica del paese sul piano letterario, ma dal punto di vista dell’attività pratica non compì azioni di rilievo. Le sue speranze patriottiche, infatti, vennero disilluse quando il re Vittorio Emanuele fermò Garibaldi sulla via di Roma. Da qui si può dire che egli divenne repubblicano, oltre che anticlericale. Le espressioni ispirate al cattolicesimo che compaiono nelle sue liriche sono, infatti, legate più ad aspetti formali che a vere e proprie credenze. Dopo l’Inno a Satana del 1863 venne addirittura scomunicato.
La dimora del poeta, ora trasformata in museo. Si trova a Bologna, nella piazza a lui intitolata.
La poetica
Entrando più nel dettaglio e analizzando la poetica, la cosa che ho sempre insegnato ai miei alunni è che il punto chiave che va ricordato dello stile carducciano è la metrica barbara, da intendersi non come manifestazione di estremo classicismo ma come personale soluzione al problema della ricerca di un nuovo ritmo poetico. Odi barbare, raccolta di poemi scritti tra il 1877 e il 1889, ne è l’espressione più alta. L’utilizzo della metrica antica – latina e greca – nelle poesie in italiano gli permise di isolare la singola parola, fermarsi su di essa e valorizzarla. In questo modo, poi, riuscì a mescolare realismo e classicità creando il cosiddetto “classicismo moderno” che fu di ispirazione per gli scrittori che lo seguirono.
È, invece, nella collana delle Rime nuove – da cui sono tratte le sue poesie più famose, quelle che tutti abbiamo studiato a scuola: San Martino e Pianto antico più delle altre – che Carducci si lascia andare a spunti intimi e privati.
Come non ricordare a memoria
L’albero a cui tendevi
la pargoletta mano,
il verde melograno
da’ bei vermigli fior.
L’incipit della poesia dedicata al figlio morto.
O le strofe autunnali di San Martino, messe in musica anche da Fiorello.
Voi quale ricordate delle sue poesie?